Il poeta e attivista cinese Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace nel 2010, è morto in un ospedale di Shenyang, nel nord-est della Cina. L’ultima diagnosi – secondo quanto reso noto dal suo avvocato, Shang Baojun – era di quelle che non ammettevano appello: tumore al fegato in fase terminale. Era stato condannato a 11 anni di carcere nel 2009 per “incitamento alla sovversione dello Stato” (Guardian). Il comitato del Nobel ha denunciato “pesanti responsabilità” del governo cinese, ma Pechino come al solito ha chiesto di non immischiarsi in un “affare interno” (BBC). E nemmeno dopo la sua morte i dirigenti del partito unico al potere hanno smesso di lanciare accuse infamanti nei confronti del dissidente: “Il premio Nobel per la Pace è stato assegnato a Liu Xiaobo contro i principi e in modo blasfemo rispetto al premio stesso” ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang. Geng ha poi rimarcato che Liu era stato condannato a 11 anni di carcere per sovversione e che Pechino ha presentato protesta formale contro tutti quei paesi che “hanno espresso commenti inappropriati” sulla vicenda. Geng ha precisato che la misura è stata presa contro “Stati Uniti, Germania, l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati e altri”. Il caso di Liu Xia, la moglie del dissidente, “sarà trattato in conformità con le leggi cinesi”, ha spiegato il portavoce ribadendo l’invito “a paesi terzi a non interferire nelle vicende interne della Cina” dopo che da Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Francia e Taiwan è arrivato l’appello a liberare Liu Xia che si trova ancora agli arresti domiciliari.  Il segretario di Stato americano Rex Tillerson e in seguito anche Tusk e Juncker (rispettivamente presidente del Consiglio europeo e della Commissione di Bruxelles) avevano chiesto a Pechino di liberare dagli arresti domiciliari la vedova e di consentirle l’espatrio.

La morte di Liu Xiaobo è la prima di un Nobel per la Pace avvenuta in stato di detenzione da quella del pacifista tedesco Carl von Ossietzky, morto in un ospedale nazista nel 1938. E fa tornare di attualità la triste e dolorosa situazione dei diritti umani che continuano ad essere calpestati in un paese guidato dal Partito comunista, determinato a mantenere il potere con ogni mezzo. Con un modello piramidale autoritario che permette di dar libero sfogo alla economia di mercato, ma che limita ancora pesantemente le libertà fondamentali. La battaglia intrapresa da Liu Xiaobo sin dagli anni giovanili, aveva proprio lo scopo di denunciare questo stato di cose. Liu Xiaobo non aveva potuto partecipare alla premiazione a Oslo in quanto era dovuto restare in carcere. Per lui, durante la cerimonia, fu lasciata una sedia vuota. 

Liu Xiaobo era nato a Changchun, nel nord della Cina, il 28 dicembre 1955. Trascorre l’infanzia nella Mongolia interna, si laurea all’università di Jilin e poi si specializza alla Normale di Pechino, con un master su ‘Estetica e libertà dell’uomo’. Una carriera molto rapida che lo porterà a studiare prima in Europa e quindi negli Stati Uniti. E proprio negli Usa ci sarà la svolta decisiva nella sua vita. È l’aprile del 1989 quando abbandona New York, dove lavora alla Columbia University, per diventare protagonista della primavera cinese. Il professore scende in piazza Tiananmen con i suoi studenti, ed è uno dei ‘Quattro gentleman’ che organizzano lo sciopero della fame e aprono la trattativa con i militari che stanno già invadendo la piazza di carri armati. Nel 1999 “torna dal campo di rieducazione, e non rieducato” come scrive Perry Link nella prefazione a No Enemy, No Heatred, una sua raccolta di scritti. Crede ancora che il cambiamento sia possibile. All’inizio del Duemila confida moltissimo nelle grandi potenzialità di Internet: grazie alla rete secondo la sua ottimistica visione si arriverà ascavalcare tecnicamente la Grande Muraglia Web del regime: è il primo a parlare qui in Cina del “potere della pubblica opinione su Internet”. 

Della sua azione per la difesa dei diritti umani nel suo paese è da ricordare soprattutto il varo della Carta 2008, un manifesto con il quale si chiedeva che in Cina vigesse lo Stato di diritto anziché il principio di “legalità socialista”, secondo cui detta legge ciò che è maggiormente in linea con i dettami dell’ideologia comunista. Carta ’08 nella sua introduzione si richiamava alla prima Costituzione cinese emanata cent’anni prima, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, alla Convenzione sui diritti civili e politici e faceva riferimento diretto alla repressione di piazza Tienanmen, denunciando i “disastri” nel campo dei diritti umani compiuti in Cina in nome di una “modernizzazione” autoritaria. “Nonostante il suo arresto – affermò all’epoca l’ex presidente della Repubblica Ceca Václav Havel, altro Nobel che fu premiato in carcere, e la cui Charta 77 aveva ispirato i ribelli cinese-, le sue idee non potranno essere arrestate”. “Non ho nemici, non provo odio” dirà Liu nella dichiarazione che alla premiazione di Oslo leggerà Liv Ulmann davanti alla sua sedia vuota.

(Sebastiano Catte, com.unica 14 luglio 2017)