L’analisi dell’economista dell’Università di Harvard Kenneth Rogoff sul futuro della moneta unica. Lo status quo non è più sostenibile: o si va verso una maggiore integrazione fiscale o si arriverà a una rottura caotica.

Con l’elezione in Francia di un presidente centrista orientato alle riforme e la sempre più probabile rielezione del cancelliere tedesco Angela Merkel, esiste ancora una speranza per il progetto interrotto di moneta unica in Europa? Forse, ma un altro decennio di crescita lenta, interrotto da convulsioni periodiche legate al debito, sembra ancora più probabile. Grazie a una risoluta iniziativa verso l’unione fiscale e bancaria, le cose potrebbero andare molto meglio. Ma, in assenza di politiche volte a rafforzare la stabilità e la sostenibilità, le possibilità di un eventuale crollo sono molto maggiori.

È vero, nel breve termine, c’è molta ragione per essere ottimisti. Nell’ultimo anno, l’Eurozona ha goduto di una solida ripresa ciclica, superando le aspettative più di qualsiasi altra economia avanzata. E non ha commesso errori: l’elezione di Emmanuel Macron è un evento di grande importanza, che riaccende la speranza sulla capacità della Francia di dare nuovamente impulso alla sua economia abbastanza da porsi sullo stesso livello della Germania nella governance della zona euro. Macron e la sua squadra sono pieni di idee promettenti, e il Presidente avrà una forte maggioranza nell’Assemblea nazionale per implementarle (anche se gli sarà di aiuto se i tedeschi gli daranno margini di manovra sui disavanzi di bilancio in cambio di riforme). Anche in Spagna la riforma economica si traduce in una crescita più forte a lungo termine.

Ma non tutto va bene. La Grecia continua a crescere a malapena, dopo aver sperimentato una delle peggiori recessioni della storia, anche se coloro che danno la colpa di tutto ciò all’austerità tedesca naturalmente non hanno guardato i numeri: con l’incoraggiamento degli economisti statunitensi di sinistra, la Grecia ha gestito male forse il pacchetto di salvataggio più debole nella storia moderna. L’Italia ha fatto molto meglio della Grecia, ma si tratta di un insulto mascherato da complimento; il reddito reale è in realtà inferiore rispetto a un decennio fa (anche se è difficile saperlo per certo, data la grande economia sommersa del paese). Per l’Europa meridionale nel suo insieme, la moneta unica si è rivelata una gabbia d’oro, dal momento che ha obbligato a una maggiore rettitudine fiscale e monetaria, rimuovendo però il tasso di cambio come un cuscino necessario contro gli shock inaspettati.

Infatti, una parte del motivo per cui l’economia del Regno Unito ha resistito bene (finora) al referendum sulla Brexit dello scorso anno è che la sterlina è scesa drasticamente, aumentando la competitività. Il Regno Unito, ovviamente, ha scelto benissimo (e saggiamente) di non aderire alla moneta unica anche se ora si sta muovendo (non così saggiamente) per uscire dall’Unione europea e dal mercato unico.

È ormai ovvio che l’euro non era necessario al successo dell’Ue e, invece, si è dimostrato un ostacolo enorme, come molti economisti americani avevano predetto. Gli Eurocrati hanno da tempo paragonato l’integrazione europea al guidare una bicicletta: bisogna continuare ad andare avanti o si cade. Se è così, l’adozione prematura della moneta unica è vista più come una caduta nel cemento spesso e bagnato.

Ironia della sorte, la ragione principale per cui l’adozione dell’euro era in origine così popolare nell’Europa meridionale era che negli anni ’80 e ’90, le persone normali desideravano fortemente  la stabilità dei prezzi di cui godevano i tedeschi con il loro marco. Ma, mentre l’euro è stato accompagnato da un drammatico calo dell’inflazione nell’Eurozona, la maggior parte degli altri paesi è riuscita a ridurre l’inflazione senza l’euro.

Molto più importante per il raggiungimento della stabilità dei prezzi è stato l’avvento della moderna banca centrale indipendente, uno strumento che ha contribuito a ridurre drasticamente i livelli di inflazione in tutto il mondo. Sì, alcuni paesi, come il Venezuela, hanno ancora una crescita dei prezzi a tre cifre, ma sono ormai una rarità. È molto probabile che, se invece di aderire all’euro, l’Italia e la Spagna avessero semplicemente concesso più autonomia alle loro banche centrali, anche loro oggi avrebbero un’inflazione bassa. La Grecia è certamente un caso meno evidente; tuttavia, considerando che molti paesi poveri africani sono stati in grado di mantenere l’inflazione ben all’interno della singola cifra, si può presumere che anche la Grecia ne sarebbe stata capace. Infatti, se i paesi dell’Europa meridionale avessero mantenuto le proprie valute, non avrebbero mai potuto scavare un debito così grosso e avrebbero goduto dell’opzione di default parziale attraverso l’inflazione.

La domanda ora è come far uscire l’Ue da questa situazione di stallo. Anche se molti politici europei non vogliono ammetterlo, lo status quo probabilmente non è sostenibile; alla fine, ci deve essere un’integrazione fiscale significativamente maggiore o una rottura caotica. È sorprendentemente ingenuo pensare che l’euro non affronterà ulteriori stress test nei prossimi 5-10 anni, se non prima.

Se lo status quo è in ultima analisi insostenibile, perché i mercati sono così estremamente calmi, con i titoli di Stato decennali italiani che hanno un rendimento inferiore al 2% ma più alto di quello della Germania? Forse lo spread riflette la convinzione degli investitori che i futuri salvataggi stiano arrivando alla fine, tuttavia molti politici tedeschi dichiarano il contrario. Gli acquisti da parte della Banca Centrale Europea del debito dei paesi periferici costituisce già una sovvenzione implicita e la discussione sugli Eurobond si sta riscaldando con la vittoria di Macron.

O forse gli investitori pensano che il Sud è rimasto fermo troppo a lungo per riuscire a uscire. La Germania continuerà a strizzare i propri bilanci al fine di garantire che le sue banche siano rimborsate. Ad ogni modo, i leader dell’Eurozona farebbero meglio ad agire ora, piuttosto che aspettare il prossimo momento di verità della moneta unica. Quanto dura l’ottimismo di oggi? Sono Macron e la Merkel a deciderlo.

(Kenneth Rogoff, project-syndicate 14 giugno 2017)

  • Kenneth Rogoff, professore di Economia e Politiche Pubbliche presso l’Università di Harvard, ha ricoperto l’incarico di capo economista al Fondo Monetario Internazionale dal 2001 al 2003. È autore dei volumi This Time is Different: Eight Centuries of Financial Folly e del più recente The Curse of Cash.