Intervista alla grande interprete di Kurt Weill, interprete di canzoni scritte da musicisti ebrei rinchiusi nei campi di concentramento.

Ieri, 27 maggio, al teatro Brancaccio di Roma la grande Ute Lemper, nota cantante e artista tedesca universalmente applaudita per le sue intense interpretazioni delle Canzoni del Cabaret di Berlino, delle opere di Kurt Weill e della canzone francese, e acclamata per le sue performance a Broadway e nel West End di Londra, si è esibita per la prima volta a Roma con “Songs for Eternity”, un progetto a lei molto caro che prevede un repertorio di canzoni scritte nei campi di concentramento da musicisti ebrei deportati, molti dei quali morirono nelle camere a gas. Sono canzoni di grande bellezza, con parole struggenti, spesso scritte da poeti. Ute Lemper ha dichiarato in merito allo spettacolo: “Ci sono canzoni dai tratti molto diversi: alcune sono art songs, altre sono impressionistiche e avventurose, altre nello stile di Kurt Weill, ci sono canzoni con atmosfere alla Klezmatics (il celebre gruppo newyorkese di klezmer guidato dal grande trombettista Frank London) e dal forte sentimento ebraico, ma anche ninne nanne, pagine di ribellione e speranza e altre d’irrimediabile disperazione. Il modo in cui cerco di renderle è semplice, sincero e diretto. In questo caso sono più una medium che altro e mi concentro su lacrime, energia e protesta verso il mondo.”

La grande interprete di Kurt Weil aggiunge inoltre: “Come tedesca nata in Germania dopo la guerra, sento la responsabilità e la necessità etica di testimoniare la storia dell’Olocausto, alla quale sono molto sensibile e che mi tormenta. Voglio così non solo rendere omaggio alla cultura ebraica, ma anche stimolare il dialogo su questo terribile passato. Il 27 gennaio 2015, a 70 anni dalla liberazione di Auschwitz, sono stata invitata a cantare canzoni del ghetto ebraico e dei campi di concentramento per commemorare l’Olocausto di Roma ed è in quest’occasione che ho conosciuto Francesco Lotoro, musicista che ha dedicato la sua vita alla ricerca delle canzoni e delle musiche scritte nei campi di concentramento: ne esiste una collezione enorme ed è importante che sia ricordata per l’eternità. È un impegno che ho assunto già nel 1987 quando sono stata protagonista di una grande serie Decca dal titolo ‘Entartete Music’ che presentava i compositori ebrei e la loro musica bandita dai nazisti. Con Songs for Eternity, continuo questa missione, che raggiunge così la sua massima estensione emozionale. Col procedere della ricerca sono stata sopraffatta dalle storie che stavano dietro i brani scritti nei ghetto e nei campi di concentramento. Alla fine ho messo insieme una raccolta unica, la collezione di canzoni di Vevel Pasternak del 1948, e quella di Ilse Weber, pubblicata dal marito negli anni Novanta, molto dopo essere sopravvissuto ad Auschwitz. Entrambe le collezioni mi sono state donate dalla mia cara amica Orly Beigel, che è per metà messicana e per metà israeliana e figlia di una persona sopravvissuta all’Olocausto.”

Lo spettacolo è stato dunque un’occasione unica per emozionarsi e riflettere accompagnati dalla voce unica e dal talento inimitabile di una grande artista dei nostri tempi. Affascinante, poliedrica e raffinata a vederla la Lemper sembra una diva degli anni ’40 che emana un carisma autentico e potente. Ute Lemper passa con disinvoltura dalla danza alla recitazione, dal canto al cabaret padroneggiando un repertorio vastissimo all’ insegna dell’ eclettismo e della contaminazione dei generi. Nel suo curriculum premi e collaborazioni prestigiose a non finire con Luciano Berio, i Pink Floyd (leggendaria esibizione inThe Wall), Nick Cave, Philip Glass, Robert Altman e Peter Greenway al cinema, e persino il Tanztheater di Pina Bausch.

La Lemper a Roma ha messo tutto il suo autentico talento e la sua sensibilità umana e d’artista a servizio di un progetto del calibro di Song for Eternity, non un semplice concerto, ma un’esperienza interiore profonda in cui attraverso la musica ci si emozionerà e si renderà omaggio alla memoria delle vittime dell’Olocausto.

Questa musica è un grido di sopravvivenza, di speranza, di sofferenza e bellezza: di umana esistenza. È dedicata alle sei milioni di vittime della follia nazista, ma anche ai sopravvissuti, che non sono morti ad Auschwitz ma ad Auschwitz hanno sentito morire la loro anima”. 

(Valentina Franci, 28 maggio 2017)