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Un antico detto ci avvisa sull’impossibilità di trovare rifugio in mare: “per mare non ci sono taverne!”. Si ha voglia di tentare di rendere inaffondabili la navi, di costruirci sopra lussuose suite e sfarzosi saloni di intrattenimento, il mare nasconde insidie tali da rendere vano ogni tentativo dell’uomo di sfuggire alla maestosità della sua forza naturale e alla voracità della sua immensa potenza.

Nessuno può rendere il conto dei tanti natanti, barche, velieri, navi, motonave e transatlantici che il mare ha inghiottito nel corso dei secoli; di quante vite travolte dalle onde e finite sul fondo di un mare che la fa da padrone nella superficie dell’intero globo. La sua vastità è tale che l’uomo non ha mai rinunciato a percorrerlo allo scopo di avvicinare le terre e scoprirne di nuove, magari per portarvi le guerre o per sfruttarne le ricchezze. Ma il mare è anche vita, è una delle principali fonti di sostentamento della nostra vita, è uno scrigno immenso di tesori a cui è difficile non pensare perché incontenibile è la nostra fame di risorse e di conoscenza. Principalmente fu e resta una incalcolabile fonte di ricchezza per traghettare gli uomini e le merci, oggi soprattutto le merci, lungo le rotte oceaniche. E come la regola del profitto impone si gareggia per rendere le traversate più veloci, più piacevoli ai ricchi e, possibilmente, più sicure.

Nel 1912 a gareggiare per la palma della nave più veloce, più sfarzosamente bella e più sicura fu il transatlantico Titanic, partito per il suo viaggio inaugurale dal porto inglese di Southampton il 10 aprile 1912 con destinazione New York. Non vi arrivò mai e il mare con la complicità di uno iceberg lo inghiottì insieme ai suoi tesori e a millecinquecentodiciotto anime tra passeggeri e equipaggio.

Si salvarono solo in 705 del carico umano degli oltre duemiladuecentoventi trasportati. Una tragedia che provocò un’ondata di indignazione pari alle maestose onde che in poco più di due ore travolsero il Titanic che divenne leggenda per la stampa e per i film. Epica la narrazione degli ultimi istanti nel racconto dell’orchestra di bordo che continuava a suonare mentre il Titanic si inabissava: “Abbiamo urtato un Iceberg, ma il Titanic è inaffondabile. Guardate, l’orchestra suona, tutto è tranquillo. Non temete…”.

(Franco Seccia/com.unica, 10 aprile 202)