“Da qui non si torna indietro”. Il primo ministro inglese Theresa May ha recapitato al presidente del consiglio europeo Tusk la lettera con cui il Regno Unito avvia l’uscita dalla Ue. “Lo rimpiangeranno”, ha detto il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. I negoziati partiranno a fine maggio e a condurli saranno dei tecnici sconosciuti ai più. Bruxelles è decisa a definire prima i termini del distacco e poi quelli della futura partnership, Londra vorrebbe discuterli insieme. May ha citato un possibile indebolimento della sicurezza comune, arma di ricatto che userà nelle trattative (Guardian). 

La copertina del Guardian

Un nuovo accordo per il libero scambio delle merci non sembra difficile da negoziare, scrive il Financial Times. Molto più complesso sarà definire il regime transitorio da qui al 2019 e trovare l’intesa su servizi regolati come finanza, energia e trasporti. “Un salto nell’ignoto” è il titolo di prima pagina del Guardian, uno dei giornali più filo-europeisti, che rappresenta la situazione odierna in copertina (diventata subito virale in rete) con un puzzle della carta geografica dell’Europa, nel quale mancano i tasselli della Gran Bretagna. “Il peggiore errore della nostra storia dal dopoguerra a oggi”, lo definisce lord Michael Heseltine, ex vicepremier ed ex ministro della Difesa conservatore. Martin Wolf, autorevole commentatore di affari economici del Financial Times, ricorda che Londra “dipenderà da Bruxelles”, economicamente parlando, anche dopo avere abbandonato la Ue, con la sola differenza che non potrà più influenzarne le scelte: un monito subito ribadito stamane dall’andamento preoccupante della sterlina. Il cui calo del venti per cento circa negli ultimi nove mesi ha sì favorito finora le esportazioni di prodotti “made in Britain”, ma ha alzato il costo delle materie prime, fatto salire l’inflazione e sta frenando la spesa dei consumatori, tutti campanelli d’allarme su un’economia in rallentamento, dopo essere stata la più solida d’Europa. C’è però chi si dissocia, anche a sinistra, da questi scenari catastrofisti. È il caso dell’ex Segretario di stato agli affari interni Alan Johnson, laburista, che sul New York Times di ieri ha scritto: “Anche se lo slogan del “Leave” è stato oggetto di scherno, la Brexit ha davvero significato la possibilità di “riprendere il controllo”. La Democrazia ha bisogno di un demos, un popolo, che sia l’origine, il tramite e l’obiettivo del suo Governo. Senza un demos, quello che rimane è una gestione elitaria, il diritto dei trattati e la redistribuzione verso l’alto della ricchezza. Ma come sarà costruito “il popolo”? La politica lo deciderà. Un populismo di sinistra non cercherà di definire il popolo come fa la destra, in contrapposizione con gli immigrati o altre categorie, ma in contrapposizione alle potenti élite neoliberiste, che non sono più in grado di formare una struttura sociale intorno al nucleo centrale della corsa al profitto capitalista.”

Molte grandi banche hanno scritto ai dipendenti a Londra di non temere per il loro destino. Ma secondo il Wall Street Journal JPMorgan sta cercando altri Paesi europei in cui spostare le proprie attività. Ryanair avverte: Londra rischia di restare senza collegamenti da e per l’Europa. I mercati per ora la prendono bene scrive oggi il Sole 24 Ore: Londra, Parigi e Francoforte hanno chiuso sopra la parità con guadagni comunque inferiori al mezzo punto percentuale mentre hanno pagato dazio le Borse più periferiche come Madrid e Milano. A Piazza Affari, il FTSE MIB ha ceduto lo 0,26%. Intanto dalla Ue arriva lo stop alla fusione tra la Borsa di Londra e quella di Francoforte: avrebbe limitato la concorrenza. 

(com.unica, 30 marzo 2017)