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Una vita tormentata che si concluse il 18 febbraio 1546 quando aveva 63 anni. È la vita di Martin Lutero, il padre del protestantesimo e il Dante della lingua tedesca. Umilissime le sue origini: “sono figlio di contadini…tutti i miei avi erano contadini”. Contadini sì ma molto religiosi e ossequiosi alla Chiesa di Roma in quella parte della Sassonia in perenne lotta tra feudatari e vassalli che si contendevano le terre e le signorie con la benedizione del papato. Il giovane Martin con l’aiuto di nobili famiglie del posto, per la verità di dame di nobili famiglie, fu tolto alla vita dei campi per essere avviato agli studi. Era già allora un giovane irrequieto che non disdegnava il duello per imporre le proprie ragioni. Ma non furono le spade dei suoi rivali a salvarlo da morte certa bensì la mano del Signore che allontanò dalla sua testa un fulmine nel mezzo di un improvviso temporale di un giorno d’estate. Fu questa la vera ragione della sua decisione di farsi monaco nell’ordine di Sant’Agostino? Il padre, contadino e minatore, non credette mai alla sua vocazione. E Martin Lutero anche se diventato monaco, sacerdote e teologo mal sopportava il peso del peccato perché a suo dire “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio – ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù”.

Dunque la redenzione dal peccato che nasce con l’uomo è affidata alla fede che l’uomo ha in Dio e non necessita della mediazione sacerdotale. Bastarono queste riflessioni contenute nelle sue lettere ai Romani per portarlo sulla strada dell’eresia e renderlo nemico della Chiesa di Roma che già due secoli prima con Bonifacio VIII aveva inaugurato gli anni giubilari con la “concessione di grandi remissioni e indulgenze dei peccati”. Per la verità Lutero non voleva lo scisma e anche dopo la pubblicazione delle famose 95 tesi su cui impiantò la sua dottrina fece l’impossibile per evitare la rottura con Roma. Ma tutto fu vano e alla fine fu scomunicato da Papa Leone X. Lutero non si fermò e non arretrò e diede alle stampe una traduzione del Nuovo Testamento rivisitato in lingua tedesca.

Intanto convolava a nozze con una ex suora diventata la sua perpetua, parteggiando con i principi feudatari che lo avevano salvato dal rogo, benediva la soppressione della rivolta dei contadini con queste tremende parole: “Che ragione c’è di mostrare clemenza ai contadini? Se ci sono innocenti in mezzo a loro, Dio saprà bene proteggerli e salvarli, Se Dio non li salva vuol dire che sono criminali. Ritengo che sia meglio uccidere dei contadini che i principi e i magistrati, poiché i contadini prendono la spada senza l’autorità divina. Nessuna misericordia, nessuna pazienza verso i contadini, solo ira e indignazione, di Dio e degli uomini. Il momento è talmente eccezionale che un principe può, spargendo sangue, guadagnarsi il cielo. Perciò cari signori sterminate, scannate, strangolate, e chi ha potere lo usi.”

In quella tragedia sociale furono oltre centomila i contadini come gli avi di Lutero ad essere sterminati. Martin Lutero, sempre cercando la remissione dal peccato nella sua fede e in continua lotta con il diavolo, cesserà la sua esistenza terrena il 18 febbraio 1546 per crepacuore, ma forse dandosi la morte per strangolamento come testimonieranno alcuni dei suoi servi.

(Franco Seccia, 18 febbraio 2021)