Il ricordo di Stefano Montefiori sulle pagine del Corriere della Sera. Lo studioso di origine bulgara è scomparso nella notte del 7 febbraio a Parigi. Aveva 78 anni.

Con gentilezza infinita, Tzvetan Todorov amava imporre i suoi tempi e le sue idee. Concedeva interviste sugli eventi più importanti dell’attualità, sì, ma non quando erano appena accaduti. Preferiva attendere qualche giorno, lasciare passare l’agitazione, e osservare il rito di un tè preso sempre allo stesso tavolo in fondo al caffè “La Contrescarpe”, nell’omonima piazza del Quartiere Latino. Rispondeva sempre con calma e con il suo limpido, magnifico francese dal lieve accento bulgaro, mantenuto ancora dopo cinquant’anni a Parigi. È intervenuto spesso nel dibattito pubblico con una voce diversa dalle mode intellettuali, ma la definizione di «controcorrente» non gli sarebbe piaciuta perché Todorov non era ideologico, e non amava neanche l’ideologia del bastian contrario.

Se c’è un atteggiamento di fondo che ha accomunato tutte le sue prese di posizione, è stato quello dell’onestà, prima di tutto con se stesso. Per esempio era scettico sulle «guerre umanitarie» dell’Occidente, perché considerava quell’espressione come un ossimoro da neolingua orwelliana. Ma non è mai stato un antioccidentale a priori. Amava la Francia, che lo aveva accolto nel 1963, e l’Europa. Todorov si è schierato contro gli interventi francesi in Libia e in Mali. «Non possiamo pretendere — disse al “Corriere” nel 2013 — di imporre a tutti i Paesi del mondo i regimi che preferiamo. Non credo agli atti militari filantropici». Se gli si faceva notare che non intervenire talvolta equivale a permettere massacri, e gli si ricordava il precedente di Monaco 1938, quando le democrazie non fermarono Hitler, sorrideva e confidava: «Lo so, io e i pochi amici che a Parigi la pensano come me ormai ci scherziamo su, quando ci incontriamo ogni tanto ci salutiamo con un “ciao, amico di Monaco”. È l’argomento definitivo che fa dire: “Interveniamo subito, prima che sia troppo tardi, e salveremo vite umane”. Rimango con la mia perplessità. Le vite salvate sono virtuali e ipotetiche, quelle perdute subito invece sono vere».

Ma allo stesso tempo, Todorov giudicava impossibile e pericoloso un no filosofico, assoluto alla guerra: «L’ambizione di estirpare totalmente il Male sarebbe ancora più dannosa: è la funzione del peccato originale quella di ricordarci, come diceva Romain Gary, che esiste una “parte inumana dell’umanità”». Nell’ultimo libro pubblicato in Italia nel 2016 da Garzanti, Resistenti. Storie di donne e uomini che hanno lottato per la giustizia , Todorov ha raccontato il suo pantheon: Etty Hillesum, la scrittrice ebrea morta ad Auschwitz, e la combattente francese antinazista Germaine Tillion, e poi Boris Pasternak, Aleksandr Solženitsyn, Nelson Mandela. Non Gandhi: «Una specie di fanatico della non violenza, un po’ troppo sistematico per i miei gusti. E poi mi è estraneo il suo rifiuto radicale della modernità, che assimila all’invasore inglese. Gandhi è contro il tram e il treno».

All’inizio di quel libro Todorov ricorda la giovinezza nella Bulgaria stalinista, dove la politica pretendeva di agire in base a principi morali. Evoca un disincanto che forse lo ha accompagnato anche dopo. «La delusione e i danni sono stati gravissimi, il socialismo reale è stato una scuola di nichilismo. Non credevamo a quelle bugie. C’era una tale differenza tra le parole e le azioni che il comunismo ha aperto la strada al rifiuto di aderire a qualsiasi valore. L’attuale no dei Paesi dell’Est europeo all’accoglienza verso i rifugiati ne è una lontana conseguenza. Quando la cancelliera Merkel dice che accoglierà tutti i migranti, subito la gente pensa a ragioni nascoste e indicibili. Vedere profanati gli ideali di giustizia durante l’epoca sovietica è servito da educazione negativa contro ogni tipo di idealismo».

(Stefano Montefiori, Corriere della Sera 8 febbraio 2017)