È avvenuto l’atteso faccia a faccia tra il neo presidente eletto Donald Trump e i capi dei servizi segreti americani. Ed è arrivata anche un’accusa precisa. Per l’intelligence americana, che ha consegnato le prove a Trump in un rapporto molto ben documentato fin nei minimi dettagli, non ci sono più dubbi: “Il presidente russo Vladimir Putin nel 2016 ha ordinato una campagna per influenzare l’elezione presidenziale Usa”. Ci sarebbe il Cremlino dietro gli hacker che hanno violato i sistemi informativi Usa con l’obiettivo di “minare la fiducia dell’opinione pubblica nel processo elettorale democratico e soprattutto denigrare Hillary Clinton”. Il rapporto dei servizi segreti è stato reso pubblico nella sua interezza.

Dopo un incontro di quasi due ore con i capi di Cia, Fbi e con il direttore della National Intelligence James Clapper, Trump ha ammesso la possibilità che la Russia abbia hackerato una serie di obiettivi americani, tra cui il Comitato Nazionale Democratico, ma ribadisce che gli attacchi non hanno modificato il voto presidenziale (Nyt). Insomma: ammette lo spionaggio, non le interferenze. Tre ore prima di ricevere il rapporto dei servizi segreti, Trump aveva continuato a metterne in discussione l’operato dei servizi segreti in un’intervista telefonica di otto minuti al New York Times: “È una caccia alle streghe” ribadisce il neopresidente. Trump ha voluto ribadire che il risultato elettorale non è stato comunque falsato, anche perché i computer utilizzati nel conteggio dei voti per votare non sono risultano essere stati manomessi. Ha poi insinuato che i documenti del partito democratico siano stati trafugati elettronicamente, perché quell’organizzazione politica non aveva predisposto difese informatiche adeguate, mentre i repubblicani non sarebbero stati colpiti dai russi non per scelta politica, ma perché dotati di migliori protezioni elettroniche.

(com.unica, 7 gennaio 2017)