L’analisi dello scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua. L’articolo integrale sarà pubblicato domani su “Origami”, in edicola domani con La Stampa.

Di recente, in Israele, è scoppiata una piccola polemica in seguito a un mio intervento a una conferenza organizzata dalla Jerusalem Foundation in cui sostenevo la necessità di trasformare Gerusalemme in una specie di laboratorio dove testare la convivenza tra due etnie nell’eventualità che israeliani e palestinesi vengano trascinati, volenti o nolenti, in uno Stato bi-nazionale o federale.  

Sono passati quasi cinquant’anni dalla guerra dei Sei giorni durante la quale, con entusiasmo e determinazione, ho attivamente sostenuto la creazione di due Stati: Israele e Palestina. Due Stati che dovrebbero riconoscersi e coesistere pacificamente l’uno accanto all’altro. Molti palestinesi e israeliani avevano rifiutato per anni di accettare la legittimità di una soluzione di questo tipo che invece, a poco a poco, ha preso piede presso la comunità internazionale e la maggior parte del mondo arabo fino a essere ratificata negli accordi di Oslo del 1994. Anche l’attuale governo israeliano di destra l’ha adottata in via ufficiale benché, di fatto, non faccia nessuno sforzo per attuarla, e pure l’Autorità palestinese, da parte sua, cerca di evitare di avviare seri negoziati con la controparte israeliana. 

La zona orientale di Gerusalemme, che secondo gli accordi di Oslo dovrebbe diventare la capitale dello Stato palestinese, si sta trasformando in una città israeliana a tutti gli effetti e la possibilità che una frontiera la separi dalla parte occidentale appare insensata e irrealistica.  

Gli Stati Uniti e l’Europa hanno completamente fallito nell’imporre gli accordi di Oslo alle due parti, in particolare a Israele, che continua a confiscare terre ai palestinesi per ampliare i propri insediamenti. I trattati di pace di Israele con la Giordania e l’Egitto per il momento reggono ma, considerati i gravi problemi interni di questi Paesi, la loro preoccupazione per i palestinesi è puramente retorica e anche il mondo arabo, sgretolato da sanguinose guerre civili, ha perso influenza e non mostra alcun interesse per il conflitto israelo-palestinese. L’idea di due Stati per i due popoli appare dunque sempre più impossibile da realizzare.  

Analizziamo ora la situazione dei territori palestinesi. Nella Striscia di Gaza non c’è più alcuna presenza militare o civile israeliana e, per lo Stato ebraico, Gaza è una specie di piccolo Paese nemico contro il quale, di tanto in tanto, entra brevemente in conflitto. La Striscia tuttavia non è completamente isolata. Ha un confine aperto con l’Egitto e riceve merci e prodotti alimentari da Israele.  

La Cisgiordania, in base agli accordi di Oslo, è divisa in tre zone: A, B e C. Le prime due, sotto il controllo dell’Autorità Palestinese, includono le città di Ramallah, Nablus, Jenin, Hebron e Betlemme e costituiscono il quaranta per cento del territorio. L’area C rappresenta invece il restante sessanta per cento. […] 

Abraham B. Yehoshua, La Stampa/Origami 4 gennaio 2017

Trad. di Alessandra Shomroni