Intervista allo storico israeliano Benny Morris sui nuovi scenari aperti dall’elezione di Trump alla Casa Bianca

«Un conflitto tra Putin e Trump in Medio Oriente è possibile», dice Benny Morris, rappresentante di punta dei Nuovi Storici post-sionisti, e in passato più volte accusato, per via delle sue posizioni sui rifugiati palestinesi di essere un agente del nemico o un propagandista dell’Olp. Nei giorni scorsi è intervenuto su Iran e Isis all’evento del Foglio su «Israele, frontiera dell’Europa», ma oltre la minaccia iraniana, su Israele pesa l’incertezza delle future relazioni fra Trump e Putin.

Benny Morris, qual è la traccia impressa da otto anni di amministrazione Obama nei rapporti tra Israele e Stati Uniti?
«Non è facile tracciare un bilancio, di base le relazioni al momento restano buone e il fatto che l’amministrazione Obama abbia firmato un impegno di 4 miliardi di dollari per i prossimi 10 anni da versare alle forze militari israeliane è il segno che l’America è vicina a Israele. Anche se in molti pensano che l’amministrazione Obama sia stata fragile, io credo di no, è stata buona. Il problema è sulla restituzione dei territori della West Bank, l’attuale governo israeliano non è d’accordo, e questa è la maggiore frattura fra Israele e gli Usa al momento».

Che cosa si aspetta dal nuovo presidente Donald Trump?
«Non so, non è stato chiaro sulle sue intenzioni in politica estera durante la campagna elettorale, non credo che abbia un’idea chiara del Medio Oriente, di Israele e degli altri. Molto dipenderà dai consiglieri di cui si circonderà. Mi giungono voci di un “non-disfavore” nei confronti degli insediamenti israeliani nella West Bank, ma presumo che questa posizione potrebbe cambiare, visto che attualmente la posizione dell’opinione pubblica Usa sugli insediamenti è invece piuttosto critica. Ciò che Trump potrebbe fare, e che Obama non ha fatto, è mettere l’accento sul fatto che i veri nemici della soluzione dei due Stati sono i palestinesi. Obama ha sottolineato gli ostacoli posti da Israele, Trump potrebbe sottolineare la resistenza che fanno i palestinesi a sottoscrivere un accordo con Israele».

Quanto profonda secondo lei è l’influenza della Russia in Medio Oriente?
«La Russia è tornata in Medio Oriente. Se n’era andata nel XIX secolo, con l’indebolimento e la caduta dell’impero russo, ma ora è di nuovo qui, ed è forte. Il suo sostegno al regime di Assad sul territorio siriano ha cambiato il corso delle cose. La relazione di Netanyahu con la Russia è buona, ma vedo una contraddizione tra l’impegno russo in Siria e lo stazionamento di truppe non lontano dal confine israeliano. Al momento non ci sono stati scontri con le truppe israeliane, ma potrebbe accadere. Cosa succederebbe in quel caso?».

Crede che un’alleanza tra Putin e Trump sul conflitto siriano sia possibile?
«E’ vero che Trump ha espresso un certo apprezzamento nei confronti di Putin, considerato un leader forte in opposizione al “debole Obama”, ma è anche vero che Trump si fa portatore di un’idea di America forte, e se quest’ultimo dato dovesse prevalere, allora ci si troverebbe di fronte a un chiaro conflitto di interessi tra un’America forte e una Russia forte. Da una parte Trump è contrario a mandare truppe in Medio Oriente – boots on the ground, come dice lui – dall’altra però non si può pretendere di avere un’America forte se i soldati Usa se ne rimangono a casa loro. E nel caso dovessero arrivare soldati americani in Medio Oriente, un conflitto con gli interessi russi sarebbe inevitabile».

(Francesca Sforza, La Stampa 3 dicembre 2016)