La Commissione europea sta per chiedere una moratoria all’austerità per il biennio 2017-18 al fine di utilizzare lo 0,5% del Pil dell’eurozona per rilanciare l’economia (in Germania, Olanda, Estonia, Malta e Lussemburgo) o concedere maggiore flessibilità a Paesi come Italia, Francia e Spagna. La manovra italiana è stata invece promossa con riserva: non rispetterebbe le regole su debito e deficit, ma la Commissione sospenderà il giudizio fino a inizio 2017. Si tratta di un giudizio che anche un significato politico: tenersi le mani libere per ridimensionare Renzi nel caso dopo una vittoria del Sì il premier decida di sfidare apertamente l’Europa sui conti. Ma soprattutto l’intenzione è di poter gestire con la minaccia di una procedura di infrazione la transizione e la nascita di un nuovo governo nel caso di vittoria del No e dimissioni di Renzi (tanto più in uno scenario in cui lo spread torna a volare). 

La stampa internazionale segnala anche le novità che arrivano dalla Grecia, che viene data fuori dalla recessione: nel terzo trimestre dell’anno il Pil è cresciuto dello 0,5% rispetto ai mesi precedenti e dell’1,5% rispetto allo stesso periodo del 2015. E nel 2017, secondo il Guardian la crescita dovrebbe arrivare al 2,7%. Ma c’è da chiedersi se si possa davvero parlare di crescita dopo che tutti i parametri economici della nazione sono crollati negli ultimi anni. Dietro ai numeri c’è una realtà ben diversa da quella che viene spesso raccontata: in questo caso si può dire che la Grecia ha finito (forse) di sprofondare dopo una crisi senza fine che ha letteralmente impoverito il paese. Sarebbe stato inevitabile prima o poi, dopo aver toccato molto probabilmente il baratro.

Intanto nella riunione di ieri i Paesi Ue hanno raggiunto un accordo per incrementare il ruolo dell’Unione in quanto a difesa e sicurezza. E la Gran Bretagna, nonostante la Brexit, sembra intenzionata a chiedere all’Ue di partecipare alle politiche comunitarie sulla Sicurezza Interna, dalle quali avevano chiesto e ottenuto di essere esonerati dopo il voto sulla Brexit.

(com.unica, 15 novembre 2016)