Tina Anselmi, prima donna ad aver ricoperto la carica di ministro della Repubblica è deceduta stanotte nella sua casa di Castelfranco Veneto all’età di 89 anni.

Protagonista indiscussa della vita politica italiana proveniva da una famiglia di antifascisti cattolici: il padre era un aiuto farmacista di idee socialiste e fu per questo perseguitato dai fascisti; la madre, casalinga, gestiva un’osteria assieme alla nonna. Staffetta partigiana durante la Resistenza con il nome di ‘Gabriella’, si iscrisse alla Democrazia Cristiana nel 1944.

Da sindacalista si è occupata dei lavoratori del tessile e della scuola, e nel 1959 è entrata a far parte del consiglio nazionale della Dc, di cui è stata deputata dal 1968 al 1992. Eletta sempre nella circoscrizione Venezia-Treviso: nel corso del suo lungo mandato parlamentare ha fatto parte delle commissioni Lavoro e previdenza sociale, Igiene e sanità, Affari sociali. Si è occupata sempre con particolare dedizione dei problemi della famiglia e della donna: a lei si deve la legge sulle pari opportunità.

Dopo aver ricoperto per tre volte l’incarico di sottosegretaria al ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, il 29 luglio 1976 è stata nominata Ministro del Lavoro e della previdenza sociale nel governo Andreotti III: un fatto storico, perché è la prima volta che una donna diventa ministro in Italia. In seguito è stata anche Ministro della Sanità nei governi Andreotti IV e V, proprio negli anni in cui viene varata la riforma che ha introdotto il Servizio Sanitario Nazionale, a cui lei ha contribuito in maniera determinante.

Fra gli incarichi di maggior rilievo del suo percorso politico è da ricordare la presidenza della Commissione d’inchiesta parlamentare sulla loggia P2, dal 1981 al 1985.

Il suo nome è tornato alla ribalta proprio quest’anno: le è stato dedicato infatti un francobollo e la sua città le ha tributato un omaggio per l’anniversario della sua nomina a ministro 40 anni prima.

Il cordoglio per la sua morte è stato espresso da tutte le massime autorità. “Con Tina Anselmi scompare una figura esemplare della storia repubblicana. Ai familiari il cordoglio mio personale e di tutto il governo”, ha affermato il presidente del Consiglio Matteo Renzi. “Partigiana, prima donna ministra, inflessibile avversaria dei poteri occulti. Con Tina Anselmi se ne va una madre della democrazia italiana”, ha scritto su Twitter la presidente della Camera Laura Boldrini. “Tina Anselmi si è impegnata per conquistare nuovi diritti per tutte e tutti ricordandoci che nessuna conquista è definitiva” ha scritto su Facebook il ministro delle Riforme e delle Pari opportunità Maria Elena Boschi.

I funerali saranno celebrati venerdì 4 novembre nel Duomo di Castelfranco Veneto.

Qui riportiamo un piccolo brano tratto dal suo libro autobiografico Storia di una passione politica (Sperling & Kupfer, 2006).

Nel 1968 avevo quarantun anni, da molto tempo facevo politica eppure, lo confesso, quando sono entrata in parlamento per la prima volta e ho parlato ero molto emozionata; contrariamente alle mie abitudini, ho perfino scritto il discorso che avrei pronunciato. Perché in quel momento sentivo la responsabilità di rappresentare il Paese. Sentivo che c’ero e dovevo contare, volevo usare bene quei voti che rappresentavo perché da lì sarebbe cominciato un cammino che fin da allora avrei voluto coerente.

La ragazza del 1943 aveva percorso una lunga strada, era giunta nel luogo dove si costruisce e si tutela la libertà, che è il dono più grande che abbiamo. Poco più di due decenni ci separavano dalla fine della guerra, ero ancora una giovane donna e non si erano ancora affacciate all’orizzonte quelle nubi nere che avrebbero sconvolto il panorama politico italiano. E che avrebbero creato una frattura profonda tra ciò che eravamo e ciò che avremmo voluto essere.

Vorrei tornare indietro a quei giorni partendo da una nota un po’ buffa, almeno all’inizio così mi appariva l’esagerato interesse dei giornalisti per la mia vita privata. Mi rivolgevano sempre le stesse domande: rimpiangevo la mia condizione di signorina? Di non aver avuto figli? Era stato doloroso sacrificare la vita privata alla politica? Ricordo che Sandra Codazzi, cara amica, collega di partito, sindacalista dei tessili della CISL, mi consigliava di rispondere: “Signorina, ma non per forza”.

Purtroppo mi sembra che ancora a distanza di tanti anni certe curiosità non smettano di importunare le donne. Le domande mal poste sono sempre inopportune, e a questo punto la cosa non fa più sorridere, soprattutto se si considera il rigurgito maschilista che sta pervadendo le nostre istituzioni.

(com.unica, 1 novembre 2016)