Al suo fianco Maddalena Crippa, Rosario Coppolino, Giuseppe Antignati e Sergio Basile.

Debutto al teatro Quirino di Roma dello spettacolo “Amleto”, adattamento di Daniele Pecci della nota tragedia shakespeariana. Al suo fianco Maddalena Crippa, Rosario Coppolino, Giuseppe Antignati e Sergio Basile. Un cast di ben 14 attori per una messa in scena contemporanea e anticonvenzionale, che in un primo momento leggermente spiazza il pubblico, ma poi lo ammalia per più di due ore di spettacolo, che scivolano via agilmente lasciando gli spettatori entusiasti. Dimenticate la tradizionale immagine di Amleto come un giovane tetro, in abiti seicenteschi, che declama “Essere o non essere” stringendo un teschio, questo Amleto sorprende per dinamismo, soluzioni sceniche inedite e persino un tocco di humour. L’adattamento di Pecci, che oltre ad essere il regista è il protagonista, vuole essere una rilettura, inedita e forse un po’ rischiosa, delle vicende del giovane principe di Danimarca: il testo seppur fedele è stato reso più snello, leggermente tagliato e tradotto in un linguaggio più attuale, ma senza snaturarlo. Se ne conserva lo spirito originale ed eliminati i simbolismi per farne emergere la vera essenza, resta l’eterno dramma della vita umana e i fardelli del destino che l’uomo, da solo, deve affrontare: il tradimento, le delusioni, gli inganni, l’invidia e l’amore non corrisposto, la paura e l’inadeguatezza davanti all’immensità dell’esistenza, la morte.

Daniele Pecci nei panni di Amleto, ha abbandonato l’abito da “bello delle fiction” per cui è famoso, dimostrando di essere molto di più. Qui è un ragazzone barbuto e occhialuto, un po’ trasandato che ricorda molto i modi di fare di un qualunque ventenne/trentenne d’oggi: un giovane uomo acuto, assetato di giustizia e verità, ma tormentato che rifiuta le perversioni di un mondo in cui non si riconosce, e la cui più letale arma è un sarcasmo pungente, al disotto del quale è però invece indifeso dinanzi a ben peggiori malizie. Pecci riesce a incarnare tutti questi aspetti, fornendo un’interpretazione convincente, ironica e ricca di sfumature, in cui riversa tutto il suo autentico talento, strappando l’applauso al pubblico a scena aperta nella scena fortemente drammatica del dialogo con Ofelia. Da applauso anche la passione e la forza ai limiti della “violenza”, espressa soprattutto nel confronto terribile con la madre Gertrude, interpretata dalla bravissima Maddalena Crippa. La straordinaria bravura della Crippa, è qui proprio nel riuscire a delineare con discrezione e puntualità, un personaggio complesso e velatamente sensuale: la sua Gertrude appare una madre civettuola e superficiale, la cui sicurezza cela una donna debole, corrotta da un peccato incestuoso che le rovina il sonno. La Crippa esprime al massimo questi due aspetti, la tenerezza della madre “innamorata” di suo figlio e la donna lasciva e corrotta, lacerata da un senso di colpa crescente.

Maria Chiara Di Mitri, nella parte dell’ingenua Ofelia fornisce una performance positiva, che raggiunge il momento migliore nella scena della pazzia, impreziosita dalle sue eccellenti doti canore.

Molto apprezzata la bella interpretazione di Rosario Coppolino, nel personaggio di Polonio, che non è qui l’oscuro faccendiere del re che tutti conosciamo, ma un ciambellano volutamente logorroico, “sciocco” e impiccione, le cui goffe trame gli si rivoltano contro. Negli scambi con Amleto, Coppolino dona con la sua interpretazione carica di ironia, istanti inediti di pura comicità che il pubblico ha molto apprezzato poiché conferiscono leggerezza e un tocco di brio all’ insieme.

Il tentativo, fatto già tante altre volte in precedenza da molti, di mettere in scena un Amleto “contemporaneo”, sembra qui perfettamente riuscito e permea lo spettacolo in ogni più piccolo dettaglio. A partire dalla collocazione della vicenda negli anni ’30, dai costumi molto semplici e dalla scenografia, scabra ed essenziale che fa da sfondo all’ azione. Infatti l’Amleto del Quirino non si svolge in un grigio palazzo medievale, ma come in un mosaico, ampie lastre di allumino dorato pendono dal soffitto fino a terra, evocando le mura di una dimora gentilizia, che avvolge il palcoscenico imprigionando gli attori in una sorta di “gabbia dorata”, efficacemente sfruttata per creare azioni sceniche di sicuro impatto (gli attori vi si specchiano, vi si nascondono, la percuotono persino, facendola vibrare per conferire maggior impeto ad alcuni passaggi).

Un sipario nero, come una coltre di fumo maligno, viene calato poi sui personaggi per sottolineare con accenti drammatici alcuni momenti. Luci stroboscopiche ed effetti sonori speciali vengono usati a profusione e danno vita anche al fantasma del re defunto.

Gli effetti sonori però a nostro avviso, sebbene ben sottolineino la drammaticità della vicenda, peccano di un eccessivo protagonismo a volte che risulta un po’ disturbante, distraendo lo spettatore e rendendo le battute difficili da comprendere. Molto originali le soluzioni sceniche, talvolta mutuate dal linguaggio cinematografico moderno, che regalano fortissima attualità al testo rendendolo più vicino allo spettatore: le guardie sui bastioni di Helsingør per esempio, con gli attori che compaiono ad uno ad uno dal buio, come fossero spettri anch’essi; Amleto che stretto in angolino confessa ad Orazio le circostanze del suo ritorno dall’Inghilterra illuminato solo da un occhio di bue; belle, quasi rubate alla pittura, le messe in scena essenziali degli attori sia nel duello finale che nella scena meta-teatrale dello ”spettacolo a corte”. Apertamente dissacrante il momento, che avrà fatto un po’sorridere alcuni, del re usurpatore che si spoglia, ed in camicia e calzini, ha una breve crisi di coscienza.

Nel complesso, ottima prova per tutti gli attori della Compagnia, tra cui spicca la bellissima performance nella scena dei becchini ed il ritratto di re Claudio: un vero capolavoro di meschinità ed egoismo, che non conosce un vero pentimento.

In conclusione, un classico intramontabile proiettato negli anni 2000, imperdibile in questa versione coraggiosa, che vuole parlare soprattutto ai più giovani e portare a teatro un pubblico nuovo. Adatto a chi non abbia mai assistito ad una rappresentazione dell’Amleto, ma che non dubitiamo piacerà molto anche a tutti gli altri. Al Teatro Quirino di Roma Amleto resterà fino al 30 ottobre.

(Valentina Franci/com.unica 20 ottobre 2016)