I danni sociali ed economici del complottismo. Un’analisi e alcune raccomandazioni su come contrastarlo

I valori che hanno consentito alla civiltà occidentale di prevalere sul resto del mondo – per parafrasare un bel libro di Niall Ferguson – raddrizzando e adattando come mai prima il legno storto di cui siamo fatti, non sono assediati e minacciati solo da fanatismi religiosi che proliferano dove questi valori non hanno attecchito. Diversi elementi pseudoculturali agiscono da cavalli di Troia, minando dall’interno la convivenza democratica e i sentimenti liberali. Tra questi, le derive più rischiose, che causano sia danni e morti a persone fisiche sia costi economici, disfunzioni istituzionali e instabilità sociale, sono le credenze pseudoscientifiche e le paranoie complottiste.

La mania dei complotti, in modo particolare, è il principale comune denominatore di scelte e aggregazioni, anche politiche come dimostra la retorica filosofica di base del M5S, dagli esisti potenzialmente e attualmente distruttivi per la salute o la coesione sociale. Tutte le teorie pseudoscientifiche sulle cause delle malattie e la natura della salute si fondano sull’idea complottista, tra altre, che le multinazionali del farmaco tengano al guinzaglio le agenzie regolatorie, o che esista una cospirazione tra potere economico-politico e medicina ufficiale per imporre cure che sarebbero in realtà dannose o mortali, per far credere spiegazioni che sarebbero false, per nascondere le prove che i rimedi naturali sono efficaci, etc. I vari stregoni postmoderni si presentano sempre come vittime di queste cospirazioni, paragonandosi altrettanto regolarmente a Galileo Galilei, effettivamente zittito per motivi estranei ai fatti in discussione.

Il padre della ragazza morta perché ha rifiutato la chemioterapia, teneva un blog intitolato «Stampa Libera» – la parola libertà è forse la più abusata da chi si nutre di credenze cospirative e pseudoscientifiche – dove non mancava nessuno dei più insensati deliri cospirativi, che spesso non sono dissimili dai deliri di chi soffre di psicosi. Ma perché siamo così predisposti, tutti, a credere alle cospirazioni? E quali sono i tratti caratteristici delle persone e dei gruppi che coltivano tali credenze in maniera ossessiva? È almeno dalla scoperta del fenomeno della dissonanza cognitiva, cioè nei primi anni Sessanta, che gli psicologi studiano le manifestazioni dell’attaccamento emotivo delle persone per credenze assurde basate su idee cospirative. In quegli anni, il tema in voga erano UFO, alieni, la fine del mondo.

Immaginarsi o credere ai complotti doveva essere vantaggioso, o almeno non dannoso, per i nostri antenati preistorici. Sospettare macchinazioni ai propri danni teneva in allerta i nostri antenati, e quelli che sviluppavano questo tratto evidentemente lasciavano più figli, cioè sono stati favoriti dalla selezione naturale. Ogni tratto fenotipico si esprime in una popolazione a livelli più o meno spiccati, per cui le persone possono essere più o meno appagate dal credere in teorie complottiste. Si può anche pensare che coltivare il sospetto prevenisse dal diventare più facilmente preda di inganni e manipolazioni da parte di aggregazioni sociali di potere. Tuttavia, viviamo in società che non sono più quelle preistoriche o anche premoderne, e in un mondo dove sono disponibili conoscenze e metodi scientifici per controllare come stanno i fatti, dove esistono leggi scritte, governi democraticamente eletti. Per cui oggi sospettare che i metodi più affidabili per controllare i fatti, ridurre i danni e garantire diritti siano in realtà frutto di pratiche cospirative non è sono una paranoia. Può essere pericolosissimo. Si tratta di un altro esempio di mismatch tra le nostre disposizioni psicologiche selezionate dall’evoluzione, e il mondo nel quale oggi viviamo.

Per avere un’idea delle conseguenze, si pensi alle vaccinazioni: si tratta della più controllata pratica medica, ma i complottisti la considerano una macchinazione dei governi e di Big Pharma. Lo stesso vale per gli Ogm, per la chemioterapia antitumorale, ecc. Peraltro, basta consultare la letteratura empirica per trovare le prove che credere alle teorie complottiste aumenta il rischio di ammalarsi o morire, come conseguenza di scelte sbagliate. Studi affidabili sul cosiddetto analfabetismo medico, che include credenze pseudoscientifiche e nei complotti ai danni dei pazienti, calcolano una mortalità nelle persone ignoranti che va dal 15 al 40% in più, a seconda delle condizioni cliniche, rispetto alle persone alfabetizzate. Ma la diffusione del complottismo peggiora anche la trasparenza delle decisioni politiche e rafforza ideologie dominanti. Chi coltiva credenze cospirative è meno egualitario rispetto ai diritti umani (tende a essere più xenofobo e razzista) e più predisposto alla violenza politica. Si sono studiate anche le differenze individuali, cioè la possibilità di misurare la predisposizione delle diverse persone a sviluppare credenze in piani cospirativi. I tratti psicologici associati più affidabilmente a forti credenze cospirative sono: sfiducia nell’autorità, cinismo politico, bassi livelli di autostima, autoritarismo e credenze nel paranormale. Credere in teorie cospirative è regolarmente associato con il rifiuto delle scoperte scientifiche!

L’ideazione cospirativa fa ampio uso di bias ed euristiche fallaci. Per esempio, usa l’errore di attribuzione (ritenere che la causa di un comportamento dipenda solo dalla personalità/disposizione di chi lo compie, sottostimando l’influenza del contesto), l’euristica della rappresentatività (tendenza ad accettare spiegazioni che sono proporzionali alle conseguenze di un evento) e la fallacia della congiunzione (errore di ragionamento probabilistico per cui le persone sovrastimano la probabilità di eventi congiunti).

Si può fare qualcosa per limitare il contagio complottista, che in Italia sembra essere particolarmente diffuso? Si è visto, da alcuni studi empirici, che un’epistemologia relativista favorisce le credenze nei complotti. Ora, ci sono prove che per superare lo stadio del relativismo e maturare un pensiero critico, nello sviluppo epistemologico personale, è dirimente apprendere gli elementi costitutivi del metodo scientifico. E la psicologa dell’educazione Deanna Kuhn ha dimostrato almeno da venti anni che in larga maggioranza le persone, che escono da un’istruzione superiore e non si specializzano, non vanno oltre la credenza che ogni forma di conoscenza è un’opinione che vale come le altre.

Alcuni studi hanno dimostrato che, diversamente da come si pensava, in diversi casi anche gli adulti possono essere curati dalla malattia complottista, se si somministra loro del pensiero analitico. Il pensiero analitico, che protegge anche dalle forze della superstizione dalla credenza religiosa, come ha dimostrato uno studio pubblicato qualche anno fa su «Science», fa uso di argomenti logici e basati su fatti. Quindi i decisori politici preoccupati per gli effetti negativi della teorie cospirative dovrebbero incentivare precocemente nei giovani l’uso del pensiero analitico. Rimane comunque un tema di studio importante capire i motivi di una così larga accettazione delle teorie complottiste nelle società moderne.

(Gilberto Corbellini, Il Sole 24 Ore 9 ottobre 2016)