Oggi il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden è in Turchia. E’ il primo leader della coalizione occidentale a visitare il Paese dopo il fallito colpo di Stato dello scorso 15 luglio. La Casa Bianca fa capire in maniera esplicita che considera fondamentale l’alleanza con Ankara, probabilmente preoccupata dal recente riavvicinamento tra Erdogan e Putin.

Intanto nel paese continuano le epurazioni: si è appreso che nei giorni scorsi 586 alti ufficiali delle Forze armate turche sono stati congedati per ordine del Consiglio supremo militare. In seguito al fallito golpe migliaia di ufficiali delle Forze armate, tra cui circa 200 generali, sono stati sospesi dal loro incarico per sospetti legami con l’organizzazione facente capo al predicatore Fethullah Gulen, in esilio negli Stati Uniti. Secondo il governo di Ankara dominato dal Partito giustizia e sviluppo (Akp) Gulen sarebbe la principale mente del tentato golpe del 15 luglio e proprio per questo continuano le critiche nei confronti degli Usa per l’attendismo sulla sua estradizione. Sinora Washington ha sempre rifiutato di concedere l’estrazione al religioso turco, che in passato è stato un sostenitore del presidente Recep Tayyip Erdogan e poi è divenuto suo rivale, negando il suo coinvolgimento nel golpe. Il primo ministro della Turchia Binali Yildirim ha detto che Ankara non può scendere a compromessi con gli Stati Uniti sulla richiesta di estradizione nei confronti di Gulen. “La presa di posizione degli Stati Uniti si sta allentando”, ha aggiunto Yildirim.

Intanto nella giornata di ieri centinaia di civili che risiedono vicino al confine con la Siria sono stati fatti evacuare per permettere all’artiglieria turca di procedere con i bombardamenti anti-Isis. Dopo i bombardamenti di Ankara sulle basi dell’Isis  e sulle milizie curde Ypg, 1500 ribelli siriani si sono radunati a Gaziantep, pronti a lanciare un’offensiva.

La Turchia si trova quindi tra due fuochi: Erdogan infatti è preoccupato della creazione in Siria di un’entità curda che possa costituire un magnete per l’irredentismo del Kurdistan turco. Alberto Negri scrive sul Sole 24 Ore a tale riguardo che Ankara sia di fatto costretta al doppio gioco. “Dopo aver sostenuto per 5 anni i jihadisti in funzione anti-Assad – si legge nell’articolo – il presidente turco ha dovuto prima correre a fare la pace con Putin. Poi, di fronte alla sconfitta nella guerra siriana, con una recente dichiarazione del premier Binali Yildirim si è dichiarato disponibile ad accettare che l’autocrate di Damasco resti al potere per un periodo ‘transitorio’.” Erdogan è costretto quindi a fare un po’ il pendolo tra Est e Ovest, così come la maggior parte dei leader della regione che lottano per sopravvivere.

(com.unica, 24 agosto 2016)