Nel nuovo romanzo di Monaldi&Storti lo scrittore al centro di un giallo ambientato negli anni ’30. L’assassinio è inventato, ma tutto il resto è (quasi) perfetto.

La Capri degli anni Trenta è un buon posto dove vivere. C’è la sua naturale bellezza, ci sono feste indimenticabili e nomi illustri, ma la ricchezza e la fama non erigono muri per tenere lontane povertà e gente comune. Frequentazioni alte e basse si intrecciano e a fare da collante c’è l’idea di un porto franco dove l’eccentricità è normalità, il piacere non è mai peccato, il dolore è come proibito. È una sorta di vacanza dalla storia, resa ancor più stridente dal fatto che in quel decennio la Storia ha ripreso a battere alle porte del mondo circostante, e dove non le ha trovate aperte ha preso a sfondarle.

Capri però non è un buono posto dove morire. La morte rientra nella natura delle cose se è per malattia, per età, persino per accidente. Ma una morte violenta, un assassinio, altera l’equilibrio di chi si sente in sintonia con le divinità paniche che ogni giorno garantiscono quel miracolo terrestre. E, più prosaicamente, in un’isola che il Fascismo ha deciso di tollerare e in qualche modo valorizzare, un delitto è un atto anti-regime. Va trovato dunque il colpevole e va assicurato alla giustizia. Oppure va trovato un colpevole: sufficientemente sospetto per scaricargli addosso il crimine, sufficientemente «antifascista» per non essere comunque innocente.

Intorno all’isola, agli anni Trenta, a un delitto, Monaldi&Sorti costruiscono il romanzo Malaparte. Morte come me (Baldini&Castoldi, pagg. 494, euro 18), dove è tutto vero e insieme tutto finto. I personaggi raccontati nel romanzo sono realmente esistiti, i luoghi dove si muovono sono ancora oggi percorribili, ma l’intreccio, così come le motivazioni e i pensieri che lo accompagnano, è invenzione pura. Il risultato è un pastiche brillante, che ha il suo punto di forza nel calco malapartiano dello stile, la musicalità delle ripetizioni, la sprezzatura ironico-patetica, il sapiente dosaggio di storia e cronaca, l’egolatria…

Nel romanzo, imputato della morte di una ragazza con cui comunque ha avuto un breve flirt, Curzio Malaparte, «fascista critico» e quindi in odore di antifascismo, si dà alla macchia proprio in quella Capri dove si sta costruendo una casa a sua immagine e somiglianza, scenografica e spartana, unica e scostante: «casa come me», appunto. C’è chi lo aiuta, c’è che li contrasta, c’è chi, semplicemente, resta a guardare. Si tratta di un parterre de roi: Edda e Galeazzo Ciano, Mona Williams (a cui gli autori mettono in bocca, in lingua originale, la celebre risposta di Rett Butler a Scarlet O’Hara in Via col vento), l’erudito Edwin Cerio, il gioielliere Chantecler, al secolo Antonio Capuano, il principe Francesco Caravita di Sirignano, Philipp von Hassen e Mafalda di Savoia… E poi Moravia, Marinetti, il teppista intellettuale Italo Tavolato e il pittore squattrinato Orfeo Tamburi, Axel Munthe… Così tanti e così ingombranti comprimari sfilacciano un po’ il racconto, con digressioni, agnizioni e spiegazioni che faticano a rientrare nell’alveo principale della storia e qui e là Morte come me finisce con l’assomigliare a un centone caprese onnicomprensivo: c’è persino la colonia russa di prima della Grande guerra, Lenin, Gorkij, Bogdanov, ci sono le presenze dell’esteta franco-danese Fersen e dell’esteta inglese Norman Douglas, manca all’appello Marguerite Yourcenar e poi il libro dei visitatori è pressoché esaurito.

Nei ringraziamenti, Monaldi&Sorti fanno giustamente riferimento a le Edizioni La Conchiglia di Capri, il cui catalogo «è un vero e proprio monumento editoriale all’isola», e l’impressione è che la ricchezza di fonti presente in quei libri abbia un po’ preso la mano alla coppia di autori.

Così, a fianco di Malaparte, quella che emerge come altro soggetto principale del romanzo è proprio Capri in quanto «teatro del meraviglioso», per usare il titolo di un capitolo di Caprimoda, di Riccardo Esposito, l’ultimo in ordine di tempo dei volumi, appunto delle Edizioni La Conchiglia (pagg. 200, euro 43), ovvero l’aria che lì si respira, «un’aria che genera una sensazione di perfetta aderenza’ al luogo, di piena appartenenza, di liberazione da schemi e imposizioni: una libertà da obblighi, anche formali che regolano i rapporti normali e quotidiani nei luoghi della centralità produttiva o del potere». E quindi, dandismo borderline e minimalismo, un’idea nuova di lusso estetico-esistenziale. Nota Esposito che il regime fascista «intuisce sia la natura eversiva del luogo sia la sua incontenibile forza, blandendo questa natura ribelle con un atteggiamento apparentemente tollerante». Non è un caso che a Capri ci sia spazio per il ballerino sordomuto H.J. Spigel, detto Gratìs, altro cameo di Morte come me, presente ogni mattina ai tavolini dei bar della Piazzetta, vestito di colori sgargianti, anelli, cappelli, collane e pipe in avorio, o per il «tipico marinaio caprese», Francesco Spadaro, che il marinaio non l’ha mai fatto, ma sbarca il lunario vestendosi e conciandosi come l’immaginazione vorrebbe fosse un pescatore dell’isola…

Accurato nella documentazione storica (c’è però l”Impero d’Etiopia anticipato di un anno…), con un interessante excursus su Hitler soldato senza coraggio nella Grande guerra, Morte come me ha il doppio pregio di far rivivere lo stile letterario e il modo di essere di uno scrittore esemplare quale fu Curzio Malaparte, e di perpetuare il fascino di un’isola che nemmeno il turismo di massa e la volgarità della modernità sono riusciti a soffocare. Per ora.

Stenio Solinas, IL GIORNALE 1 agosto 2016