L’analisi del direttore della Stampa Maurizio Molinari dopo l’attacco alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray in Francia: il vero obiettivo dell’offensiva jihadista in Europa è quello  di innescare una spirale di violenza cristiani-musulmani sul modello di quanto gli è riuscito con sciiti-sunniti in Iraq e Siria.

L’efferato attacco alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray nasce dall’ideologia apocalittica dei jihadisti, esalta l’identità peculiare del terrorismo che aggredisce l’Europa e cela la strategia dell’Isis di innescare una guerra civile nei nostri Paesi in maniera analoga a quanto gli è riuscito in Iraq e Siria. 

L’obiettivo prescelto e il brutale assassinio dell’84enne prete Jacques Hamel sono figli dell’ideologia jihadista che divide il mondo in «luce» e «oscurità» ovvero i sunniti salafiti che predicano la violenza e tutti gli altri esseri umani. Per gli assassini di Hamel non c’è alcuna differenza fra chiese, moschee sciite, moschee sunnite non jihadiste, sinagoghe, templi buddisti, indù, shintoisti o altari animisti. Portare la distruzione nei luoghi di culto di «musulmani corrotti, infedeli, crociati ed ebrei» è la loro missione.  

Il piano rientra nel disegno escatologico della sottomissione del Pianeta a un grande Califfato. Gli autori dell’attacco sono due musulmani locali che hanno scelto di aderire a Isis. E’ una dinamica simile alle recenti stragi di Nizza ed Orlando: i «lupi solitari» sono dei singoli che scelgono di diventare «soldati dell’Islam» come li definisce Isis. Contagiati dal jihadismo per convergenze ideologiche o vulnerabilità personali diventano i volontari carnefici del Califfo. Declinandone localmente il messaggio internazionale. Questa natura dei jihadisti ha più versioni: nel Sinai, in Libia ed in Bangladesh si tratta di cellule locali che aderiscono spontaneamente mentre in Francia, Belgio e Germania si tratta di singoli individui. La possibilità di disporre di unità locali, quasi sempre autonome dal punto di vista operativo, consente ai jihadisti di moltiplicare gli attacchi ed avere un maggior grado di imprevedibilità. Uno dei veterani della lotta a Isis lo spiega così: «Il legame fra loro è stretto come nella mafia, ma i soldati non sono subordinati bensì affiliati, con autonomia operativa». 

Ma non è tutto perché versare il sangue di un prete dentro una chiesa francese svela anche ciò che i jihadisti hanno in mente per l’Europa: l’obiettivo dell’offensiva di attacchi in pieno svolgimento è innescare una spirale di violenza cristiani-musulmani sul modello di quanto gli è riuscito con sciiti-sunniti in Iraq e Siria. Abu Musab al-Zarqawi, il sanguinario fondatore di «Al Qaeda in Iraq» da cui Isis discende, teorizzò nel 2004 le stragi di sciiti e le realizzò con attacchi alle loro moschee riuscendo a scatenare una violenta reazione contro i sunniti che ha gettato l’Iraq in una guerra civile permanente allargatasi dal 2011 alla Siria e grazie alla quale il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi si è formato il 29 giugno 2014.  

La guerra civile serve ai jihadisti per creare un clima di conflitto talmente feroce da spingere i musulmani sunniti a sostenerli. Il fine ultimo è reclutare sunniti anche in Europa ed è per questo che Isis colpisce le chiese, puntando a sollevare una reazione talmente estrema, razzista ed intollerante contro gli stranieri da spingere nelle sue braccia gli oltre 13 milioni di musulmani che oggi risiedono dentro i confini dell’Unione Europea. Se la strategia dei jihadisti è innescare la guerra civile in Europa non è ancora chiaro come l’Europa intenda difendersi da un nemico che vuole devastarla. In attesa che singoli leader e Paesi Ue trovino capacità e coraggio di elaborare una nuova Difesa collettiva – assieme agli Stati Uniti, anch’essi obiettivo di analoghi attacchi – assegnando alla Nato relativi compiti e strumenti, tocca ai singoli cittadini fare la loro parte. Ai musulmani europei spetta il compito di isolare e delegittimare i volontari carnefici del Califfo come sui non-musulmani europei ricade la responsabilità di resistere al richiamo della vendetta. Per scongiurare il peggio bisogna essere in due. 

(Maurizio Molinari/LA STAMPA, 26 luglio 2016)