In Turchia va avanti senza soste il durissimo giro di vite: nella sola giornata di ieri ottomila poliziotti sono stati sospesi perché sospettati di aver preso parte al fallito colpo di stato del 15 luglio. Il primo ministro Erdogan ha ordinato la cancellazione di ferie e viaggi all’estero per tre milioni di dipendenti pubblici. Su Twitter e altri social network sono apparse le foto-shock che ritraggono i soldati arrestati dopo il tentato golpe, con mani e piedi legati, ammassati seminudi nella scuola di polizia di Ankara. Il primo ministro turco Binali Yildirim, in un discorso trasmesso dalle tv nazionali tutto il paese, ha dichiarato che il numero di persone arrestate è salito a 7.500, tra cui cento poliziotti, 755 giudici e procuratori, 650 civili. Del resto lo aveva preannunciato lo stesso Erdogan nei giorni scorsi: “faremo pulizia all’interno di tutte le istituzioni dello Stato” per liberarle dal “virus” che ha innescato la rivolta sfociata nel tentativo di colpo di stato di venerdì sera. Intanto ancora non è stata fatta chiarezza sulla presunta confessione dell’ex comandante dell’aviazione come organizzatore del golpe.

Le purghe su vasta scala e accompagnate da particolare violenza e accanimento tipiche di un paese totalitario iniziano a preoccupare la comunità internazionale. Soprattutto dopo la minaccia da parte delle massime autorità di governo che in Turchia sarebbe tornata la pena di morte. Il Daily Mail ha riportato la notizia che Angela Merkel ieri avrebbe telefonato a Erdogan definendo la reintroduzione della pena di morte in Turchia “incompatibile” con l’ingresso in Europa. Ma il presidente turco ha ribadito alla Cnn che darà il suo via libera nel caso di un’approvazione del Parlamento. Anche i ministri degli Esteri europei e il segretario di Stato americano John Kerry, riuniti a Bruxelles, hanno ricordato che la reazione del governo turco non può mettere a rischio lo stato di diritto. E il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha detto che il rispetto della democrazia è la condizione necessaria per far parte dell’alleanza. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni al riguardo è stato chiaro in un’intervista al Corriere: “Le porte dell’Ue sono aperte, ma solo per uno Stato democratico. Sono inaccettabili epurazioni e vendette”. Oggi – ha poi proseguito il capo della Farnesina – “chi prova a raccogliere voti seminando paure può produrre conseguenze devastanti”.

(com.unica, 19 luglio 2016)