La “Falun Dafa” (Grande Via della Ruota della Legge), conosciuta anche come Falun Gong, riprende un’antica forma tradizionale cinese di Qigong. È una pratica per purificare corpo e mente attraverso cinque esercizi, di cui quattro con movimenti lenti e armoniosi ed un quinto di meditazione. A differenza delle altre pratiche di Qigong, va oltre il benessere fisico, mira alla coltivazione della moralità dell’individuo e al raggiungimento della saggezza interiore e dell’illuminazione, in accordo con i principi universali di Verità, Compassione e Tolleranza, insegnati dal maestro Li Hongzhi, fondatore del movimento. Il Falun Gong richiede ai praticanti di comportarsi onestamente, di rispettare gli altri, di non rispondere alle offese e di dedicare la massima cura al miglioramento “della natura del cuore e della mente”.

La nascita del Falun Gong risale al 13 maggio 1992, con la prima lezione che il maestro Li Hongzhi tenne nell’Auditorium della Scuola Media n.5 di Changchun, in Manciuria. In quella sede, 180 persone ascoltarono insegnamenti che fondevano tra loro meditazione, esercizi fisici e buddhismo, per un benessere totale. In una Cina uscita dal Maoismo e con le prime riforme frantumatesi nel 1989, il Falun Gong si diffuse rapidamente, conquistando milioni di adepti, aggregandosi all’Associazione Governativa della Ginnastica Tradizionale e mantenendo buoni rapporti con le forze armate, interessate agli esercizi fisici e alle tecniche di meditazione. Nel 1995 Li Hongzhi pubblicò il primo dei “testi sacri”: Zhuan Falun (Girare la Ruota della Legge). Fuorilegge dal luglio 1999, il Falun Gong è una vistosa crepa nel corpo della Cina-Seconda-Potenza Mondiale, compresso tra il silenzio, la propaganda contro i “culti superstiziosi” e le denunce lanciate dal quartier generale negli Stati Uniti per le persecuzioni, le uccisioni in carcere e i prelievi di organi ai detenuti.

Il 7 luglio 1999 l’allora presidente Jiang Zemin, durante una riunione del Politburo del Partito Comunista Cinese, screditò il Falun Gong, dichiarò i praticanti nemici politici e diede l’ordine di costituire, nel Comitato Centrale, l’Ufficio 610, il braccio operativo della persecuzione, facendo ripiombare la Cina nell’incubo della Rivoluzione Culturale. La sera tra il 19 e il 20 luglio 1999, Jiang Zemin, che concentrava nelle sue mani le cariche di Segretario del Partito Comunista Cinese, Presidente della Repubblica Popolare e Capo dell’Esercito, sostenne che il movimento Falun Gong rappresentasse una minaccia alla stabilità politica e sociale della Cina, classificò la questione come “lotta di classe” e lanciò una campagna di rappresaglia su vasta scala contro i praticanti. Si riferì al Falun Gong come a un “culto malvagio” che diffondeva superstizioni per ingannare la gente. Condannò il movimento attraverso i media controllati dallo Stato, sostenendo una posizione che il governo cinese mantiene ancora oggi. La mobilitazione degli apparati di sicurezza scatenata da Jiang Zemin e dal Partito, diede origine alla più grande catastrofe dei diritti umani dai tempi di Mao: tutta la Cina fu inondata dalla propaganda e ogni cittadino cinese fu obbligato a dichiarare la propria posizione rispetto al Falun Gong. Ogni studente, il primo giorno di scuola, dovette firmare una dichiarazione che bollava il movimento come una “religione deviata”, mentre i praticanti subirono violenze, attacchi, vennero incarcerati in regime di isolamento e torturati. Furono coinvolti anche i massimi esponenti del Partito, funzionari ed ex funzionari, i familiari e i parenti che praticavano, e dichiarati nemici pubblici.

Non è possibile ancora oggi stabilire quante siano state le vittime della persecuzione, soprattutto per le oggettive difficoltà di aprire delle inchieste nei campi di detenzione. Si sostiene che nelle carceri siano decedute 3800 persone, assassinate dalle guardie carcerarie. La versione ufficiale del governo parla di suicidi, di rifiuto delle cure mediche e di scioperi della fame, da parte degli adepti, protratti fino alla morte. Il Partito Comunista Cinese afferma che la pratica del Falun Gong abbia spostato l’obiettivo dalla coltivazione della spiritualità al movimento politico, assumendo a conferma l’esistenza di numerosi siti web di sostegno al Falun Gong. È stato quindi bloccato l’accesso a certi siti internet e sono stati bruciati molti libri e materiali.

Le pratiche del Qigong erano state proibite e represse durante la Rivoluzione Culturale, perché ritenute feudali e superstiziose. Con l’allentamento delle regole economiche, dopo le prime riforme liberali dette “della porta aperta” e con la comparsa delle prime forme di disoccupazione, il Qigong fece di nuovo la sua comparsa. Le autorità lo trovarono un buon metodo per rilanciare la cultura cinese e promossero la sua presentazione alla “Fiera della Salute” agli inizi del 1990. Tra le scuole di Qigong, la Falun Gong si distinse dalle altre, perché gratuita e aperta a tutti, indifferentemente dalla provenienza sociale. Secondo le stime ufficiali, in sette anni arrivò a contare 80 milioni di aderenti. L’ampiezza del fenomeno iniziò a preoccupare le autorità, perché il numero dei praticanti rappresentava il doppio degli iscritti al Partito Comunista Cinese ed il loro numero continuava a crescere velocemente.

Nel 1996 iniziarono le prime angherie nei confronti degli aderenti. I libri del Falun Gong, inizialmente pubblicati dagli enti governativi, vennero vietati e ritirati dalla circolazione. Comparvero sui giornali di Stato i primi articoli polemici e sfavorevoli verso il Falun Gong. Un articolo critico, che evidenziava i pericoli di questa pratica, fu pubblicato il 23 aprile 1999 all’Università di Tientsin. Alcuni adepti si recarono allora sul posto per difendere la loro posizione, ma furono successivamente arrestati. In risposta a questi arresti, il 25 aprile, più di 10 000 membri del Falun Gong si riunirono spontaneamente davanti al sede del Governo Centrale nel Quartiere di Zhongnanhai, a Pechino. Una delegazione venne ricevuta dal Primo Ministro Zhu Rongji, che li rassicurò sulla libertà di pratica, garantendo il rilascio degli arrestati di Tientsin. Questa manifestazione tuttavia provocò una svolta nella politica del Partito Comunista Cinese nei confronti del Falun Gong, che iniziò ad essere considerato come una organizzazione in grado di sfuggire ad ogni controllo. Nell’ottobre del 1999, dopo l’inizio della campagna vessatoria di luglio, fu emanata una legge che legittimava la repressione e rendeva illegali tutte le organizzazioni “eretiche”, con valore retroattivo, così da minacciare milioni di praticanti, che venivano uccisi a piacimento, senza processo.

La persecuzione anti- Falun Gong continua a costituire un grave fenomeno sociale e morale nella Cina contemporanea, anche se iniziano ad esserci timidi segnali di cambiamento, come le affermazioni pubbliche di alcuni funzionari che promettono di cessare il prelievo degli organi dai prigionieri da destinare al trapianto. Il crimine più efferato compiuto dal Partito Comunista Cinese, che spinge a rimettere in seria discussione la sua legittimità anche a livello internazionale, è il prelievo sistematico degli organi dai praticanti del Falun Gong, detenuti negli appositi centri. Il rapporto Bloody Harvest, redatto da David Matas e David Kilgour, riporta i dati scioccanti di un’indagine che ha fatto luce sulla scomparsa di migliaia di prigionieri del Falun Gong, uccisi per fornire organi umani soprattutto al mercato straniero: si tratta di organi vivi, compresi reni, fegato, cornee e cuore, particolarmente appetibili per lo stile di vita sano condotto dai praticanti.

Attualmente in Cina, in seguito alla campagna anticorruzione lanciata da Xi Jinping nel 2012, che ha portato all’arresto di Zhou Youngkang (ex capo della sicurezza e fedelissimo di Jian Zemin) e di Bo Xilai (ex membro del Politburo), si spera nell’avvio di un’era di riforma politica che si orienti verso la riabilitazione del Falun Gong, anche se questa può avvenire solo con la caduta del Partito. Lo scorso anno, numerosi praticanti hanno presentato denuncia penale contro Jiang Zemin, accusandolo della persecuzione, della rovina economica, della tortura e dell’uccisione degli adepti e dei loro familiari: fatto estremamente significativo per la Cina, considerato che fino a un decennio fa un simile atto avrebbe comportato la condanna a morte del querelante.

Gradualmente la popolazione cinese ha iniziato a prendere coscienza che qualsiasi forma di convivenza con il regime è di fatto impossibile. Esiste un movimento, il Tuidang, che invita i Cinesi a dichiarare la loro opposizione al sistema di governo firmando le loro dimissioni dal Partito e da tutte le organizzazioni ad esso affiliate. Secondo Epoch Times, giornale cinese tradotto in numerose lingue, il database del Tuidang Center ha registrato oltre 200 milioni di dichiarazioni di dimissioni, a testimoniare la voglia di spezzare anni di indottrinamento sotto il Partito Comunista.

(Nadia Loreti/com.unica, 7 luglio 2016)