Intervista dell’economista francese a “Repubblica“, in occasione del primo festival dell’economia circolare, nelle Langhe: “Se per tagliare il debito sacrifichiamo il capitale di cui un paese dispone facciamo un autogol”.

“Se vogliamo che il motore dell’economia continui a girare abbiamo un’unica strada: la sostenibilità”. Jean-Paul Fitoussi, l’economista che presiede l’Osservatorio francese sulle congiunture economiche (Ofce), è nelle Langhe per partecipare a Circonomia, il primo festival dell’economia circolare, organizzato da Legambiente, Kyoto Club, Fondazione Symbola e gruppo Egea.

L’economia circolare è il modello economico che l’Unione europea è intenzionata a rilanciare con il pacchetto di misure proposto nel dicembre scorso dalla Commissione. Per il 2030 sono previsti obiettivi importanti: il 65% di rifiuti urbani dovrà essere riciclato; per l’invio in discarica dei rifiuti domestici è fissato un limite massimo del 10%; la raccolta separata della frazione organica sarà organizzata entro il 2025 ovunque sia “tecnicamente, economicamente e ambientalmente possibile”. Servirà a rilanciare l’economia?

Sul ruolo dell’Unione europea Fitoussi è scettico: “L’Europa è malata di nominalismo: enuncia i target ma dimentica gli strumenti. Così spesso fallisce l’obiettivo. E’ il caso del Trattato di Lisbona e degli impegni sull’occupazione. Se continuiamo a pensare di essere i primi della classe e a mettere meno cura dei concorrenti nelle sfide che abbiamo di fronte finiremo all’ultimo posto”.
Per Fitoussi la chiave delle riforme di cui l’Europa ha bisogno sta nella scommessa sulla sostenibilità, cioè in un sistema produttivo che lasci alle prossime generazioni un capitale economico, sociale e naturale almeno uguale a quello di cui abbiamo goduto. Un obiettivo che appare piuttosto lontano visto che l’inquinamento chimico è sempre più diffuso e la concentrazione crescente di gas serra rischia di farci precipitare in un clima devastante.

“La ricerca che ho fatto assieme a due economisti come Amartya Sen Joseph Stiglitz è stata riassunta in un libro che abbiamo scritto assieme, La misura sbagliata delle nostre vite, in cui si spiega perché il Pil è un indicatore che non va”, risponde Fitoussi. “Non funziona perché se aumenta l’insicurezza e occorre spendere di più per difendersi il Pil cresce, se restiamo bloccati nel traffico e usiamo più benzina il Pil cesce, se c’è un terremoto il Pil cresce. Bisogna sostituire questo numero che inganna con numeri che restituiscano l’idea della crescita del benessere: ad esempio l’educazione, la salute, l’occupazione”.

Il dibattito economico non va in questa direzione: si discute molto di come tagliare il debito, poco di come ridurre l’inquinamento. “E’ perché ci mancano gli strumenti di misura, non abbiamo il quadro statistico necessario”, continua Fitoussi. “Così si arriva a proporre piani che tagliano l’1% del debito ma magari sacrificano il 10% del capitale di cui dispone un paese: è un autogol. Una politica che esaspera la forbice sociale rendendo i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. In questo modo si finisce per concentrare il potere in poche mani: se non aumentiamo la sostenibilità perdiamo la democrazia”.

(Antonio Cianciullo/Repubblica, 20 maggio 2016)