Un’analisi di Vanna Vannuccini (da “Repubblica”) sul regime di un Paese che qualcuno continua a definire “moderato”.

I falchi esultano, ricordano agli iraniani che loro l’avevano sempre detto: l’accordo sul nucleare non avrebbe mai portato benefici al paese perché gli americani non avrebbero mai tolto le sanzioni, come sta accadendo. E mentre sperano che un Rouhani screditato da un’economia ancora bloccata non venga rieletto l’anno prossimo, lasciando la presidenza libera a uno di loro, raddoppiano gli sforzi per fermare con ogni mezzo quel cambiamento culturale che la presidenza Rouhani aveva fatto sognare agli iraniani. L’ultimo attacco ha centrato Instagram, ed è una conferma di quanto potenti siano ancora gli ultraconservatori in Iran a dispetto del governo moderato di Rouhani. Instagram è uno dei pochi social media al quale ancora gli iraniani possono accedere. Twitter e Facebook sono stati da tempo vietati, e anche se è facile accedervi ricorrendo ai vpn (sistema che cela la provenienza dei dati) facile da scaricare sul proprio computer, gli arresti sempre più frequenti e le pene sempre più dure comminate dai tribunali in mano agli ultraconservatori fanno sì che gran parte degli iraniani vi abbiano rinunciato. Instagram era ancora in quel limbo tra il tollerato e il vietato.

Ma ieri la tv di Stato (anche questa dominio dei fondamentalisti come i tribunali e la polizia) ha reso noto che otto modelle sono state arrestate e condannate a pene severe per aver postato su Instagram, con la testa scoperta o quasi, una nuova collezione di abiti. E il reportage televisivo è andato oltre: ha mostrato, come ai tempi più duri della persecuzione dei dissidenti, una confessione pubblica: la modella più nota in Iran, Elham Arab, conosciuta per i suoi ritratti in abiti da sposa con i capelli biondi che fuoriuscivano dal foulard, è apparsa alla tv mentre davanti al pubblico ministero Abbas Jafari Dowlatabadi, chiusa da capo ai piedi in un chador nero, faceva ammenda: «Tutti amano la bellezza e la fama — ha detto — e tutti perciò vorrebbero essere visti; ma è importante che sappiano quale prezzo dovranno pagare».

La Tv non ha detto di quali reati Elham Arab fosse incolpata né se le fosse stato permesso di prendere un avvocato. Ma ha riferito che in questa operazione, denominata Ragno 2, la polizia aveva identificato tramite i social media 170 persone che avevano a che vedere col mondo della moda tra cui 58 modelle e altrettanti fotografi e truccatori, e che tutti i loro studi o centri estetici erano stati immediatamente chiusi. Il mondo della moda aveva visto un’improvvisa fioritura negli ultimi due anni con sfilate a Teheran di “vestiti islamici” — in realtà abiti che si potrebbero vedere indosso a qualsiasi “fashionista” occidentale — dai tacchi ai leggings — con l’aggiunta di un sofisticato foulard che copriva i capelli. Ormai non solo a Teheran ma in tutte le grandi città le ragazze portano il foulard appena appoggiato sulla testa spesso senza nemmeno legarlo sotto il collo. Gli ultraconservatori hanno sempre osteggiato l’accordo nucleare, e oggi si augurano che non funzioni, perché hanno paura che apra le porte a quel cambiamento di costumi e i codici di vestiario che loro temono più di ogni altra cosa, perché considerano quei codici l’ultimo pilastro del loro potere prima che tutto si sfasci.

«Bisogna combattere con ogni mezzo le azioni del nemico in quest’area. La nostra offensiva continuerà», aveva detto il procuratore Dowlatabadi nella stessa trasmissione. L’offensiva precedente, in aprile, denominata ragno 1, si era concentrata proprio sull’hijab, il velo che difende agli occhi dei fondamentalisti la donna dalla concupiscenza maschile. Dopo che alcuni giovani avevano escogitato una app (40 milioni su 80 milioni di iraniani accedono regolarmente a internet) per avvertire i loro coetanei della presenza in strada dei basiji (i guardiani della rivoluzione) che fermano le automobili per guardare se le donne sono coperte, la polizia aveva risposto con 7.000 poliziotti in borghese. E se due anni fa il gruppetto di ragazzi e ragazze a capo scoperto che ballava al ritmo di “Happy” sui tetti di Teheran erano stati arrestati e condannati a sei mesi e 91 frustate, ma dopo pochi giorni rilasciati, ora le pene diventano di anni. E ieri è stato arrestato anche il manager di “persianblog”, un servizio di blogging in persiano, Madi Boutorabi.

Vanna Vannuccini/Repubblica, 17 maggio 2016