In Turchia clima di paura, il potere mette a tacere oppositori e giornalisti, l’Europa si faccia sentire.

“Di solito sono il tipo che dice ‘va bene, parliamo, ma solo di letteratura’. Però, adesso, come si fa? Non è più possibile. Andiamo, parliamo di politica». Grande scrittore, uomo coraggioso. Orhan Pamuk, 64 anni, premio Nobel per la Letteratura 10 anni fa, massimo autore turco già minacciato di morte in passato per le sue dichiarazioni sul genocidio degli armeni e il massacro dei curdi, non si schermisce con Repubblica dietro comodi paraventi e anzi parla a lungo della complessa situazione che attanaglia la Turchia. Il narratore de “La stranezza che ho nella testa” (ultimo suo romanzo pubblicato da Einaudi) ha appena finito di accompagnare nell’aula del tribunale di Istanbul il decano degli intellettuali, Murat Belge, altro sommo saggista, poco conosciuto in Italia purtroppo, e autore invece tra i suoi molti libri bellissimi di un monumentale studio sui militari turchi. Ora Belge è accusato addirittura dal Presidente della Repubblica, il conservatore islamico Recep Tayyip Erdogan, di averlo insultato nei suoi articoli firmati sul quotidiano Taraf. «Ma figuriamoci – attacca Pamuk – conosco benissimo Belge, è uno degli studiosi più importanti del nostro Paese, oltre che un mio amico personale. Leggo i suoi articoli da almeno 50 anni e ho sempre imparato molto da lui».

E il punto vero dell’accusa qual è, allora? «Che tutto ciò non ha nulla da fare con insultare il Capo dello Stato. Ma riguarda solo il fatto di silenziare l’opposizione politica e colpire la libertà di pensiero. Riguarda l’intimidire la gente e il mettere paura al Paese. Così che nessuno possa criticare il governo»

Lei che cosa teme? «Io per me nulla. Non ho paura per me. Ho paura per il mio Paese. Ho paura per i miei amici, per i turchi laici, colti, filo europei».

E per loro la libertà di espressione è sempre più difficile in Turchia? «Ma io sono molto preoccupato pure per la libertà di stampa. La paura tocca i giornalisti che criticano il governo, e vengono minacciati, licenziati, i loro quotidiani chiusi. Negli ultimi anni il nostro governo pro-Islam sta perdendo la sua faccia liberale. Sta diventando sempre più autoritario e repressivo».

Ma lei tutto questo lo sa, ci è già passato, no? «Sì, però sono davvero stufo di andare nei tribunali a difendere me stesso o i miei amici. Qui parlano tanto della nuova Turchia. Questa sarebbe la nuova Turchia: la continuazione della vecchia! Con gli scrittori alla sbarra».

I casi adesso sono tanti: ben duemila persone, fra cui anche studenti, accusate di avere insultato il Presidente e chiamate a risponderne in tribunale. Murat Belge è solo l’ultimo esempio. C’è anche il caso del famoso inviato di politica internazionale Cengiz Candar, che rischia anni di carcere per lo stesso motivo. O del direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dundar, per il suo scoop sulle armi in Siria protette dai servizi segreti turchi. Sembra un’onda che cresce, e nessuno riesce a fermare. Che cosa accadrà ancora? «Guardi, non mi chieda per favore che cosa succederà in futuro. Quello che sta accadendo nel presente è già abbastanza deprimente».

Oggi però la Turchia ha appena concluso un accordo importante per la liberalizzazione dei visti di ingresso con l’Europa. Questo le piace? «Sì, sono contento di questo passo per l’intesa sui visti. Ma dall’altra parte mi fa arrabbiare che si possano causare ulteriori disaccordi fra un governo turco sempre più repressivo e l’Unione Europea, perché è un’intesa difficile da realizzare. Sembra che gli europei non solo non vogliano vedere intorno a loro siriani e asiatici, ma adesso pure curdi e turchi. E questa non è una bella sensazione!».

Che cosa dovrebbero fare i Paesi europei? «Ma intanto dovrebbero prendere una posizione più dura con la Turchia proprio sulle violazioni dei diritti umani».

Però sui migranti stanno cercando in tutti i modi di accordarsi con Ankara. «Io spero che i leader europei, quando stringono le mani di quelli turchi, occasionalmente gli ricordino la libertà di espressione… La cancelliera tedesca Angela Merkel e gli altri dirigenti d’Europa non dovrebbero concentrarsi solo sulla questione dell’immigrazione e dei rifugiati in Turchia, ma anche affrontare con il nostro governo il problema della democrazia».

Benissimo. Ma proprio sulla crisi dei profughi l’Europa come si sta comportando per lei? «L’Europa con i muri che costruisce intorno a sé erode i suoi criteri di valore».

E la Turchia? «Sul punto dei rifugiati non posso davvero biasimare il nostro governo. Non posso dare nessuna colpa. Per molto tempo Ankara è stata lasciata sola ad affrontare il peso di milioni di migranti giunti dall’estero: li ha aiutati. Da sola. L’atteggiamento della Turchia su questo fronte merita tutte le lodi».

(Marco Ansaldo/Repubblica 5 maggio 2016)