Adriano Sofri ci ha ricordato sul “Foglio” la triste realtà del Bangladesh, dove può accadere che Nazimuddin Samad, un dottorando in Giurisprudenza di 27 anni, venga aggredito nel centro della capitale Dakka al grido di “Allah è grande” e ucciso barbaramente a colpi di machete. La colpa del povero ragazzo era solo quella di aver postato sul suo blog alcune considerazioni sulla triste piega che sta prendendo nel suo paese il fondamentalismo islamico. I suoi compagni di studio hanno immediatamente organizzato una manifestazione di protesta contro l’inazione del governo bloccando le strade intorno all’università dove il ragazzo studiava. Secondo gli studenti, l’incapacità della polizia nel perseguire i colpevoli degli omicidi di altri quattro blogger, avrebbe “contribuito” alla morte di Nazimuddin.

Nazimuddin scriveva di non avere religione, e denunciava ogni fanatismo religioso. Sapeva bene quali fossero i rischi a cui si esponeva. “Ho paura di essere ucciso”, aveva scritto tempo fa. “Ma cosa posso fare? È meglio morire che vivere con la testa piegata”. In un post precedente aveva reagito al violento discorso di un religioso che citava il Corano contro le donne, contestando una delle affermazioni fatte (“l’islam è il più grande onore dato alle donne!”). Anche per questo i fanatici islamici avevano inserito il suo nome in una lista nera con altre 83 persone poi consegnata governo affinché tutti i loro componenti fossero processati per blasfemia.

La sua sorte è la stessa di tanti altri studenti, blogger e giornalisti che hanno pagato per aver espresso liberamente le proprie opinioni e una posizione critica nei confronti dell’islam. È il caso di Sohagi Jahan Tonu, 19 anni, studentessa del secondo anno di Storia e attivista di teatro, violentata e assassinata lo scorso 23 marzo in una zona militare ad alta sicurezza. Dei compagni e poche altre persone coraggiose avevano manifestato e protestato, fra loro anche lo stesso Nazimmudin Samad. Da diverso tempo gli estremisti islamici prendono di mira liberi pensatori e attivisti democratici. Ahmed Rajib Haider è stato il primo blogger a essere ucciso nel 2013. Dall’inizio del 2015, altri quattro blogger hanno perso la vita: a febbraio Avijt Roy; a fine marzo, Oyasiqur Rahman; due mesi più tardi è stato il turno di Ananta Bijoy Das; l’ultimo, Niloy Chakrabarti, è stato giustiziato ad agosto, sotto gli occhi della madre e della sorella. Il 31 ottobre Faisal Arefin Dipan, un editore dalle idee progressiste, è stato ucciso a coltellate.

Nella macabra lista di persone da far fuori anche nove nomi di residenti in Inghilterra e sette in Germania. La prima di queste fu anni fa Taslima Nasreen, ricorda Giulio Meotti, sempre sul “Foglio”. La Vergogna, il romanzo che le valse la condanna, è stato bruciato in piazza e la fatwa non sarà ritirata finché Nasreen non “chiederà perdono e darà fuoco ai suoi libri”. Lei si è salvata grazie all’esilio. In tanti sono morti. Ma queste uccisioni come quella ieri di Samad – sottolinea ancora Meotti – non meritano una riga sui nostri giornali.

(com.unica, 11 aprile 2016)