La lettera dello scrittore triestino a Giovanna Napolitano, a Pino Pelloni e agli amici del FiuggiStoria. Magris, vincitore del Premio nella sezione “romanzo storico” con Non luogo a procedere, rende omaggio anche all’opera di Gian Gaspare Napolitano, grande inviato e scrittore.

Cara signora Giovanna Napolitano, caro Pino Pelloni, cari amici,

mi dispiace di non poter essere tra voi, in questa giornata di festa che generosamente mi regalate, ma mi è veramente impossibile. Non solo non ho l’ubiquità, ma nemmeno la bilocazione, riservata – secondo certe tradizioni – ai santi minori. Mi dispiace molto e so che perdo una sostanziale parte del premio, perché riconoscimenti del genere consistono anche o forse soprattutto nella festa che ci viene fatta, negli amici che ci hanno dato la loro attenzione e ci hanno scelto e si stringono intorno a noi, in quell’incontro con gli altri che è sempre il sale fondamentale della vita.

Sono particolarmente grato e felice che a questo mio libro venga assegnato il Premio FiuggiStoria, un premio per la scrittura storica. Proprio in questo libro – come in genere da anni quasi ossessivamente nel mio lavoro – è presente un confronto continuo con i problemi di scrivere Storia e di scrivere storie ossia letteratura, invenzione, romanzo, narrazione–invenzione che deve peraltro inquadrarsi nella grande Storia, cosa che sembra sempre più difficile. Oggi il rapporto fra scrivere Storia e storie sembra essersi frantumato. A partire dalla grande stagione sperimentale novecentesca non si può raccontare se non rischiando di naufragare nel mare sconvolto della Storia, nel suo maelstrom che frantuma o altera il rapporto col tempo e con la materia del racconto stesso. “History as novel, Novel as History”, scriveva Norman Mailer.

Il Grande – o anche medio – romanziere dell’800 poteva integrare la vicenda fantastica di un individuo nella totalità oggettiva della Storia. Il narratore ottocentesco poteva pure usare la stessa lingua e lo stesso stile nei suoi romanzi e nei suoi scritti storici, morali o politici. La scrittura, la lingua dei Miserabili di Hugo non sono troppo diverse da quelle delle sue polemiche contro Napoleone III. Kafka invece, non avrebbe potuto scrivere un messaggio di solidarietà con i minatori della Slesia con il linguaggio della Metamorfosi.

Anche la compagnia con cui oggi ricevo il premio è un premio ulteriore, i compagni con i quali facciamo un pezzo di strada, anche breve, arricchiscono la nostra persona. In particolare è un piacere speciale, per me, condividere questo premio con Paolo Mieli, mio ammiraglio della squadra del “Corriere”, direttore con cui ho lavorato in profonda consonanza, che mi ha arricchito di esperienza e la cui amicizia è importante per me.

Ma c’è un’altra ragione che mi rende caro questo premio, in questo caso grazie a un nome che è legato ad esso attraverso la signora Giovanna Napolitano: quello di Gian Gaspare Napolitano. Napolitano è l’autore di libri che segnano una tappa nella letteratura del Novecento ed è uno straordinario scrittore di viaggi, con tutto ciò che questo implica. Questo suo grande senso del viaggio, che ha nutrito la sua vita e che egli ha vissuto e rappresentato in molti suoi racconti, ad esempio Giro del mondo, Il figlio del capitano ed altri ancora – mi è molto caro e vicino.

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Anche per me il viaggio è il senso della vita, la vita stessa, la verifica della possibilità di uscire di casa e avventurarsi nel mondo tornando alla fine a casa, accresciuti e confermati nonostante tutto nella propria identità oppure l’impossibilità di tornare a casa, l’esperienza di perdersi nel viaggio di ritorno, di diventare veramente Nessuno come l’antico Ulisse.

Ma c’è un’altra curiosa coincidenza, che dimostra come tutto si tiene. Il mio primo incontro con l’opera di Napolitano lo ebbe quasi da ragazzo, a 14 anni. Avevo un amico che, pur avendo molti più anni di me – ne aveva 21 – frequentavo spesso, curiosamente su un piede per così dire di parità, almeno per quel che riguardava gli interessi, le passioni culturali, i libri che leggevamo e che anche lui mi faceva leggere e così via. Questo mio amico – ora è un neurochirurgo in pensione, ha lasciato da molti decenni Trieste e vive in Emilia – in quegli anni, per guadagnare qualche soldo, faceva il rappresentante di libri e mi aveva associato, non ufficialmente, al suo lavoro. Per ogni libro venduto lui prendeva il 10%; per ogni libro che riuscivo a vendere io, lui si prendeva il 5% e mi lasciava l’altro 5. A dir la verità non ho avuto molto successo. Di altri libri ne ho venduti, in tutto, tre. Uno era il Convivio di Platone nella traduzione ottocentesca di Francesco Acri. Venduto e rispettivamente acquistato con soddisfazione di entrambe le parti. Il secondo è stato proprio La mariposa, anche in questo caso un acquisto – o una vendita, come credete – assai gradita da parte dell’acquirente che era un anziano avvocato triestino, che poi mi incontrò al Caffè San Marco e mi parlò a lungo del libro (ovviamente conosceva molto meglio di me l’opera di Napolitano) ed era molto soddisfatto. Mi piace ricordare questo successo perché in parte compensò il fallimento della terza vendita, sempre al medesimo avvocato, che si interessava anche di storia: Gli Unni in Toscana. L’argomento lo aveva interessato e sorpreso perché, come mi disse, non sapeva che gi Unni fossero arrivati in Toscana, credeva che fossero stati fermati, come dice la tradizione, dal Papa e così via. Io ricevetti il dovuto compenso, ma dopo qualche giorno lui mi cercò, infuriato, perché quegli Unni erano in realtà i nazisti durante la seconda guerra mondiale che avevano imperversato in Toscana. E così io dovetti restituirgli il compenso e prendermi indietro il libro, indimenticabile …

Tra le tante cose che potrei dire ancora di Napolitano e soprattutto invidiargli, è che lui è stato anche un regista cinematografico; ricordo ancora l’impressione profonda ed entusiasta che mi fece il suo Tam-tam Mayumbe. Anch’io avrei voluto fare il regista; dopo l’esame di maturità, ho esitato tra la Facoltà di Lettere all’Università di Torino, che poi ho scelto, e il Centro Sperimentale Cinematografico di Roma. Mi sarebbe piaciuto tanto raccontare la realtà con i volti delle persone, con i colori del mondo. Ma forse, se avessi deciso di andare a Roma, sarei finito non so come e oggi non riceverei questo premio per il quale vi sono tanto grato.

Vi abbraccio
Claudio Magris