[ACCADDE OGGI]

Oggi è festa nazionale in Ungheria. È la Festa della Repubblica proclamata il 23 ottobre 1989 ma è soprattutto la festa in cui gli ungheresi ricordano l’anniversario dell’insurrezione popolare contro il governo comunista che iniziò il 23 ottobre del 1956. Il pomeriggio del 23 ottobre di quel 1956 circa 3000 studenti scesero in piazza in segno di solidarietà con gli studenti della città polacca di Poznan che, a loro volta, avevano manifestato a favore degli operai polacchi che erano insorti al grido di “pane e libertà” contro il regime comunista di Cyrankiewicz segreteria generale del Partito Operaio Unificato Polacco e primo ministro.

Quella rivolta fu soffocata nel sangue con il sacrificio umano di oltre un centinaio di operai polacchi, ma produsse anche i primi tiepidi aneliti di revisionismo con l’assunzione del potere di Gomułka e la contestuale liberazione dal carcere del cardinale primate di Polonia Stefan Wyszyński. Per la cronaca va registrato che “L’Unità” (allora organo ufficiale del Partito Comunista Italiano) definì gli scioperanti di Poznan “provocatori” e scrisse: «La responsabilità per il sangue versato ricade su un gruppo di spregevoli provocatori che hanno approfittato di una situazione temporanea di disagio in cui versavano Poznan e la Polonia».

Ma torniamo a quel pomeriggio del 23 ottobre 1956 a Budapest. Al corteo pacifico degli studenti inaspettatamente si aggiunsero molte migliaia di cittadini ungheresi e la protesta si trasformò rapidamente in una rivolta popolare. In pochissimi giorni i manifestanti diventarono milioni e tutti chiedevano la fine della dittatura del despota stalinista Mátyás Rákosi e l’allontanamento dalla Polonia delle truppe sovietiche. In breve tempo i rivoltosi si impadronirono di istituzioni pubbliche e vasti territori. Vi furono anche esecuzioni sommarie di dirigenti e si appartenenti all’odiata polizia politica, la famigerata ÁVH. Il mondo intero si interrogava sull’atteggiamento del Russia sovietica dopo che Imre Nagy, nominato primo ministro al posto dell’odiato Rákosi, sposò la causa dei rivoltosi. La risposta non si fece attendere e fu di una brutalità inaudita.

Il 4 novembre l’Armata rossa arriva alle porte di Budapest con circa 200.000 uomini e 4000 carri armati. La rivolta iniziata il 23 ottobre precedente su iniziativa degli studenti dell’Università di Tecnologia e di Economia di Budapest a cui si era associato l’intero popolo polacco affoga nel sangue, schiacciata dai cingoli dei carri armati sovietici nell’operazione denominata “turbine” direttamente controllata dal capo del Cremlino Kruscev e dal temuto capo del KGB Suslov. 2.700 furono i morti e quasi 250.000 i feriti. Molti ungheresi lasceranno per sempre il loro paese. Imre Nagy, il primo ministro della riscossa sarà impiccato insieme al ministro Pál Maléter e al giornalista Miklós Gimes.

Il cardinale Wyszyński, quello che aveva fatto vescovo il futuro Papa Giovanni Paolo II, si rifugerà nell’ambasciata americana di Budapest dove rimarrà per quindici anni. Ma, come dicevamo, i primi tiepidi aneliti di revisionismo incominciarono a farsi largo in tutto il mondo comunista. Già a Roma 101 intellettuali comunisti firmarono un appello di solidarietà con gli insorti anche se il partito di Togliatti manterrà una posizione favorevole all’intervento militare sovietico in Ungheria. Il futuro presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano a proposito dell’intervento militare in Ungheria dichiarerà: “… ha evitato che nel cuore dell’Europa si creasse un focolaio di provocazioni …e ha impedito che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione e perciò ha contribuito in maniera decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo».

Indro Montanelli, allora inviato speciale del “Corriere della Sera”, scriverà una piéce teatrale da cui fu tratto un film da lui stesso curato nel 1961: “I Sogni muoiono all’alba”. Il film è ambientato nelle stanze dell’Hotel Duna, quartier generale della rivolta e dei giornalisti stranieri da dove Montanelli, insieme a colleghi anche della stampa comunista occidentale, aveva osservato i giorni della rivolta di Budapest. Colpisce una frase in cui un giornalista italiano si rivolge ad una rivoltosa di nome Anna Miklos dicendole: “guarda che il giornalista italiano con cui tu amoreggi è iscritto al partito comunista”. “Anch’io” fu la risposta della giovane Anna Miklos.

(Franco Seccia/com.unica 23 ottobre 2015)