Torna (senza tagli) la pellicola erotica ed esotica del 1961 di Franco Rossi. Scandalizzò il Paese ma anticipò una moda mondiale. Lo stesso regista poi girerà lo storico sceneggiato Rai su Ulisse.

Un Paese, due ossessioni che si tramutano l’una nell’altra. Quando l’Italia del cinema scopre il nudo, nei Sessanta dei film dove l’aggettivo “nudo” s’impone nel titolo, allusivo di appetitose trasgressioni sessuali – Vedo nudo , Dove vai tutta nuda?, Inghilterra nuda, Laura nuda -, inizia anche il piacere del mito. Sulla scena primordiale del desiderio, dove ciò che è bello e amabile viene dalla follia di ninfe impegnate nell’atto erotico, anche gli amanti di celluloide scoprono che cosa vuol dire essere posseduti dall’amore. Solo l’amante è éntheos, dice Platone: solo l’amante è «colmo del dio». Magari, anche del dio quattrino che presiede agli incassi stratosferici di Europa di notte di Alessandro Blasetti, nel 1958 apripista, tra spogliarelli e tabarin nelle principali città europee, della liberalizzazione dell’eros su grande schermo. E piace la vita greca governata dagli Olimpi, all’Italia che s’incammina verso il boom cominciando a sessualizzare la società, scatenata in produzioni esotico-erotiche e sexy-thrilling, dopo che La dolce vita (1960) di Fellini aveva faticosamente superato le maglie della censura cattolica, tra scomuniche e interrogazioni parlamentari. E mentre nelle scuole Mito ed Epica sono materie d’insegnamento, tra copule di Zeus trasformato in serpente e dee violentate sotto siepi di alloro, il regista e montatore Franco Rossi (1919-2000), tra i primi a dedicarsi alla produzione di film per la tivù, saccheggia l’Odissea e ne fa due versioni, una cinematografica e una televisiva, diametralmente opposte. Servendo il Sesso e il Mito sullo stesso piatto della spettacolarizzazione.

Odissea nuda, film drammatico del 1961 ora di scena alla Festa del cinema di Roma nella versione restaurata da CSC, Istituto Luce ed Euro Immobifilm – domani al Maxxi, ore 19, a cura di Tatti Sanguineti e Pierluigi Raffaelli -, scatenò la Questura capitolina, che sequestrò per “offesa alla morale” i cartelloni pubblicitari “piccanti” sui quali il protagonista Enrico Maria Salerno (1926-1994) guardava, desiderante, una polinesiana in reggiseno e gonnellino a fiori. Eppure, la storia di Enrico, intellettuale che arriva a Tahiti per girare un film e, invece, si abbandona all’istinto, passando da un’avventura erotica all’altra in quell’Eden senza tempo, dove splendide fanciulle polinesiane gli si offrono senza tabù, sigla anche un primato italiano. Sul tema dell’abbandono della civiltà in nome del ritorno alla natura, Odissea nuda, infatti, arriva tra gli esotici atolli prima del celeberrimo Gli ammutinati del Bounty (1962) del duplex Lewis Milestone e Carol Reed, con Marlon Brando che sul set perse la testa per l’isola di Tetiaroa, ma soprattutto per l’attrice polinesiana Tarita Teriipaia, facendone la sua terza moglie.

Fiorenti di giovinezza, le tahitiane di Odissea nuda si lanciano in frenetici tamurè – Tony Renis, di ritorno dalle Hawaai, nel 1963 avrebbe insegnato questo ballo sulle spiagge, cantando Bikini e tamurè – e coinvolgono anche un prete in smaniose sforbiciate di gambe. Ventidue i tagli operati dalla censura su questa pellicola che fu anche il primo esempio di cinema globalizzato, aperto al mondo e al documentarismo. Via gli accoppiamenti, via le docce, via Salerno sul letto in mutande e via la battuta: “Sai che hai belle cosce?”. Il produttore Golfiero Colonna, che nel 1940 aveva abbattuto l’aereo di Italo Balbo con una raffica dal suo sommergibile, per le varie traversie di Odissea nuda si ammalò e morì nel 1961.

Ci sarebbe voluta un’Odissea in peplo, senza sessualità primitiva, per arrivare alle masse che compravano libri e mobili a rate, radunandosi in tinello a guardare la tivù. Quella tivù considerata “minore” e commerciale fino a poco tempo fa e alla quale ora torna il grande cinema di Quentin Tarantino, per esempio. Franco Rossi, così, insieme a Piero Schivazappa e a Mario Bava, nel 1968 firma uno degli sceneggiati Rai più belli di sempre: l’Odissea . Il ritorno a Itaca, stavolta, è l’opposto del film: il protagonista, l’aitante Bekim Fehmiu, indossa gonnellini di tela ruvida; la virtuosa Penelope di Irene Papas è coperta dalla testa ai piedi, mentre la dolce Nausicaa, cioè Barbara Bach maritata Ringo Starr, porta vesti pieghettate dalle scollature pudiche.

Le donne tengono gli occhi bassi e non c’è estasi nell’esilio esotico, alieno al sesso: l’Odissea diventa familiare grazie a quello sceneggiato di impeccabile fattura, con gli effetti speciali di Mario Bava e Carlo Rambaldi, le musiche di Carlo Rustichelli e le introduzioni del poeta Giuseppe Ungaretti, che leggeva alcuni versi del poema prima d’ogni puntata. Produceva Dino de Laurentiis e il potere della metamorfosi, essenziale a Ulisse, s’impadronì di Franco Rossi, rendendolo capace d’ibridare il sesso e il mito in qualcosa di classico: l’imperio dell’apparenza.

Cinzia Romani, IL GIORNALE, 18 ottobre 2015