L’elezione del 66enne Jeremy Corbyn alla guida del partito laburista inglese è stata salutata da qualcuno come una svolta epocale; da altri invece come un pericoloso passo indietro, la fine di ogni prospettiva di possibile ritorno al potere della sinistra in tempi ragionevolmente ravvicinati.

Pacifista, vegetariano, antinucleare e veterano del vecchio Labour che ha preceduto la svolta di Tony Blair, ha vinto a mani basse, e al primo turno, con il 59,5% dei voti. Succede così a Ed Miliband, che si era dimesso dopo il tracollo elettorale dello scorso mese di maggio. Un successo sorprendente, soprattutto se pensiamo che ha deciso di concorrere alla competizione per la leadership solo all’ultimo momento, vincendo la propria riluttanza grazie alla spinta dei suoi sostenitori più accaniti, nella convinzione che potesse rappresentare l’unica garanzia di rappresentanza della “vera sinistra”.

Certo è un po’ paradossale che un marxista di 66 anni possa essere eletto a simbolo del rinnovamento, ma quel che è certo è che non sembra esserci spazio più per il blairismo tradizionale. Ma più che chiederci se potrà mai andare al potere un uomo con tali credenziali forse bisogna riflettere sul perché il New Labour non abbia saputo più offrire l’appeal di un tempo all’elettorato di sinistra. La risposta è da ricercare nell’incapacità dimostrata finora dai partiti di sinistra (non solo in Inghilterra) di proporre qualcosa di diverso dalle solite ricette neoliberiste e improntate all’austerity. Politiche che di fatto hanno prodotto effetti devastanti sulle fasce più deboli della popolazione e quindi sull’elettorato tradizionale del Labour (vecchio e nuovo).

Non è un caso che il nuovo leader laburista abbia posto la lotta contro l’austerità al centro della sua campagna, in piena sintonia più con le nuove organizzazioni politiche come Podemos in Spagna e Syriza in Grecia, più che con i partiti socialisti europei. Con un discorso appassionato e idealista pronunciato alla vigilia della sua elezione a capo del partito, Corbyn ha saputo sedurre i più vecchi e i più giovani, tutti coloro che si sentono scollegati dalla politica tradizionale. “La mia vittoria, ha detto, ha dimostrato che il nostro movimento è democratico e punta a costruire una società migliore e che offra piena dignità a tutti i cittadini. I nostri sostenitori sono stanchi delle disuguaglianze, dell’ingiustizia, delle crescenti sacche di povertà che non dovrebbero essere considerate inevitabili”.

Il suo primo atto di leader laburista ha avuto un grande valore simbolico: è stato quello di recarsi a Trafalgar Square, dove c’era una manifestazione a sostegno dei rifugiati. Pur mantenendosi fedele a una visione radicale della politica Corbyn ha avuto tuttavia l’accortezza di evitare i toni troppo accesi che avevano caratterizzato in passato il suo approccio alla politica estera, in particolare le sue dure prese di posizione contro Israele e vicine ai palestinesi, e di indulgenza nei confronti di movimenti estremisti come Hamas ed Hezbollah.

(com.unica 13 settembre 2015)