Continua a far discutere la foto drammatica di Aylan, il bambino in fuga da Kobane trovato morto sulla spiaggia turca di Budrum. Un’immagine che ha fatto il giro del mondo e che ha scosso profondamente l’Europa, costringendo i leader del vecchio continente finalmente a reagire. Anche chi, come il premier inglese Cameron, aveva fino a ieri manifestato una forte ostinazione nello spegnere ogni segnale di apertura di fronte all’ondata impetuosa dei profughi disperati in fuga.

Il dibattito sulla necessità di rendere pubblica la foto è ancora molto acceso, anche in Italia. Un dubbio che, non dimentichiamo, si era posto inizialmente anche l’autrice della foto, la fotografa turca Nilufer Demir, la quale è arrivata alla conclusione che non ci fosse nient’altro da fare. Fotografare per testimoniare: era l’unico modo per far sentire a tutti l’urlo di quel povero corpo.

Una posizione condivisa dal senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione parlamentare per i Diritti Umani, intervistato oggi dal Corriere della Sera. “A differenza di altre immagini di morte – spiega – non suscita morbosità ma compassione. Alla lettera: ‘com-passione’, ovvero patire insieme. La disponibilità a partecipare di quel dolore, non a condividere perversamente la crudeltà dell’atto che quel dolore determina. E dico perversamente perché può esserci, in ciascuno di noi, una tentazione latente al sadismo, che quegli spettacoli sollecitano”.

C’è chi, al contrario, esprime forti dubbi e perplessità . È il caso di Padre Antonio Spadaro, direttore del quindicinale gesuita “Civiltà Cattolica”, che afferma sulle pagine dello stesso quotidiano milanese: “Da direttore di un quotidiano mi sarei posto il problema. La necessità di scuotere le coscienze non dovrebbe comportare la sospensione del rispetto della dignità del bambino”. E aggiunge: “Mi chiedo quale sia il livello della stimolazione positiva della coscienza. Questo per me è il problema. Se ormai è solo l’orrore a destarci, allora dobbiamo riflettere”.

(com.unica/4 settembre 2015)