Quattro italiani sono stati sequestrati ieri sera in Libia nella zona di Mellitah (a metà strada tra Tripoli e il confine con la Tunisia) nelle vicinanze del compound dell’Eni. I rapiti sono dipendenti della Bonatti, una Spa con sede a Parma che opera in quella zona da diversi anni come general contractor internazionale. Come è stato comunicato dalla Farnesina è stata immediatamente predisposta l’Unità di Crisi per seguire il caso, in contatto costante con le famiglie dei connazionali e con l’Azienda. La Bonatti, come si legge nel loro sito istituzionale offre servizi di ingegneria, costruzione, gestione e manutenzione impianti per l’industria dell’energia ed opera in ben 16 nazioni: Algeria, Austria, Canada, Egitto, Francia, Germania, Iraq, Italia, Kazakhstan, Messico, Mozambique, Romania, Arabis Saudita, Spagna, Turkmenistan e appunto Libia.

Da Bruxelles, dove era impegnato nella riunione del Consiglio Affari Esteri dell’UE, il nostro Ministro degli Esteri Gentiloni si è immediatamente messo in contatto con i servizi di intelligence per poter avere il maggior numero di informazioni. “È sempre difficile dopo poche ore capire natura e responsabili”, ha dichiarato il capo della Farnesina, ma c’è da tener presente che si tratta pur sempre – ha affermato, “di una zona in cui ci sono dei precedenti e dobbiamo concentrarci per ottenere informazioni sul terreno”.

Secondo quanto affermato dall’incaricato d’affari dell’ambasciata libica presso la Santa Sede, Ali Rugibani, dietro il sequestro “potrebbero esserci le milizie islamiche di Tripoli”, il cui obiettivo è “fare pressioni sul governo italiano” per il ruolo svolto nei colloqui di pace sulla crisi libica.

Rugibani ha il sospetto che il rapimento possa essere legato alla minaccia delle possibili sanzioni che l’Ue potrebbe imporre a chi ostacola il dialogo sostenuto dalle Nazioni Unite. Lo scorso 12 luglio i rappresentanti di Tobruk e Misurata, insieme a quelli di movimenti indipendenti, hanno firmato infatti l’accordo di pace e di riconciliazione in Libia proposto dall’Onu. L’intesa non è stata ratificata però dal Parlamento di Tripoli, controllato dalle milizie islamiche e non riconosciuto dalla comunità internazionale, che invece come è noto appoggia quello di Tobruk.

(com.unica/20 luglio 2015)